DRS passivo: più limiti che vantaggi?
Il dubbio amletico attanaglia le squadre: lo sviluppo del DRS passivo, può fare la differenza nelle prestazioni in pista?
Tra le novità che vedremo durante le gare di quest’anno, spicca la nuova regolamentazione sull’utilizzo dell’ala mobile posteriore: il DRS potrà essere attivato soltanto su due aree designate del tracciato sia nei turni di prove, dove in passato il suo utilizzo non era limitato, che in gara. Questa modifica regolamentare ha catalizzato l’attenzione degli ingegneri, visto che non ci saranno più differenze sostanziali di prestazioni tra qualifiche e gara dovute all’uso del DRS e visto che sono state bandite soluzioni estreme come il doppio DRS.
Servirebbe qualcosa in più…ed ecco quindi motivato il fiorire sui cofani di piccole prese d’aria asservite al DRS passivo anche sulle monoposto 2013. Fondamentalmente, il DRS passivo permetterebbe di far stallare l’ala posteriore, riducendo la resistenza e quindi provocando un aumento di velocità massima della monoposto. Tutto questo facendo fluire una certa quantità d’aria verso i profili dell’alettone posteriore. Il fenomeno avverrebbe in automatico, quindi senza il movimento di organi meccanici o di azionamenti vari da parte del pilota. E’ richiesta però una certa condizione per attivare il fenomeno: ovvero c’è bisogno di un valore adeguato di pressione in uscita dal condotto del DRS passivo che è ottenibile solo oltre un certo valore di velocità della vettura.
Questa condizione complica tutto il lavoro di progettazione, perché c’è bisogno di sapere con certezza quando il dispositivo funzionerà e quando no. Principalmente per una questione di sicurezza, oltre che di performance.
I circuiti ideali per poter sfruttare al massimo il DRS passivo sarebbero quindi quelli caratterizzati da lunghi rettilinei e curve lente ma il Mondiale, nonostante le continue critiche ai nuovi circuiti, presenta piste dalle più svariate caratteristiche.
In ogni circuito si avranno delle velocità di punta diverse e il condotto del DRS passivo deve essere calibrato adeguatamente per poter funzionare in maniera corretta: un DRS passivo progettato per l’Hungaroring, se non modificato per la gara successiva, rischierebbe di far stallare l’ala durante una velocissima curva in appoggio a Spa. Facile immaginare cosa accadrebbe in caso di perdita improvvisa di deportanza al posteriore in simili condizioni.
Lotus e Mercedes sono state le prime ad usare il DRS passivo lo scorso anno e tra i principali problemi affrontati c’è stato quello di non riuscire a far coincidere le velocità alla quale avveniva “l’accensione” e lo “spegnimento” del dispositivo, questo a causa della pressione che circonda la vettura e che non è mai costante.
Come si è ben capito, il DRS passivo non è uno strumento che permette di aumentare drasticamente le performance di una monoposto di F1, ma può fornire un grande aiuto, perché il suo uso non è limitato da nessun regolamento.
C’è solo da capire se vale la pena sviluppare perfettamente questo dispositivo e se il guadagno in termini di prestazioni può valere davvero tutta la quantità di tempo e risorse necessarie, viste le enormi complicazioni che derivano dalla messa a punto ottimale di tale dispositivo.