iRace Lotus – Pirelli F1 Experience: cronaca di un sogno
Le giornate, per chi lavora nel Circus, iniziano molto presto al mattino. Ogni volta che si va in trasferta, non vi nascondo che maledico la sveglia. Non questa volta, però. Perché quella che sto per raccontarvi è un’uscita speciale. Niente ritmi frenetici, niente conferenze stampa, niente riunioni di redazione. Si scende in pista per un test drive molto particolare, al volante di una vera monoposto di Formula 1. L’occasione è l‘iRace Lotus – Pirelli F1 Experience, al circuito Paul Ricard, località Le Castellet.
Alle sei del mattino sono già saltato fuori dal letto, felice come non mai, conscio di essere ad un passo dal realizzare un sogno. Accesa la luce della mia camera al Grand Prix Hotel, la prima cosa che attira la mia attenzione è il quadro posto sopra il letto. Uno scatto del GP di Francia 1982. Tutto, intorno a me, parla di corse. In fondo, a parte gli hotel e la pista, non c’è molto altro da queste parti.
Incontrati nella hall gli altri colleghi della stampa e alcuni fortunati ascoltatori di Radio 101 – vincitori di un concorso – arriva il momento di andare in pista. Ad attenderci c’è il Team Lotus ed i suoi uomini, pronti ad una intensa giornata. L’entusiasmo dei presenti è palpabile, perché ciò che ci aspetta è quanto di più vicino alla vera Formula 1 che un semplice appassionato possa provare. E non è un simulatore.
Giusto il tempo di prendere la tuta nero-oro e la giornata ha inizio. Il briefing iniziale ci permette di conoscere i nostri nuovi compagni di viaggio: tutor, ingegneri e fisioterapisti. Poche chiacchiere, perché il tempo è tiranno: si scende in pista tutti insieme sui minivan della squadra per scoprire il tracciato del Paul Ricard. Due giri per memorizzare le curve: da lì a breve sarebbe terminata la teoria e si sarebbe passati alla pratica.
Dopo una breve seduta di fisioterapia, indossiamo casco, tuta e guanti e via verso i box. Schierate in pitlane ci sono delle monoposto di Formula Renault 2000, ovviamente con livrea nero-oro Lotus. Diciamocelo, fanno la loro bella figura. Una volta dentro, non si fa fatica ad abituarsi all’abitacolo stretto e la posizione di guida sdraiata. Da quella posizione non si vede molto più che le proprie ruote, giusto per capire che ingombro ha la vettura. Eppure è una posizione privilegiata per vedere tutta la pista e sentirla scorrere a poche centimetri dal proprio fondoschiena.
I primi venti minuti al volante della F. Renault trascorrono dietro la Safety Car, consentendo così di familiarizzare con il mezzo e con il tracciato, ricalcando le traiettorie delle Renault Megane RS che, pur trattandosi di una sessione di pratica, faticano comunque a tenere il nostro passo. Lungo la pista sono posizionati dei birilli cui mirare: i due rossi segnano il punto di frenata, quelli blu i punti di corda. Il primo contatto con la monoposto è positivo: l’ansia da prestazione è sparita una volta avviato il motore e tutto appare più chiaro.
Scesi dalla vettura, ci attendono in sala telemetria. E lì che capisci come comportarti con la macchina, dove aprire gas, dove e come frenare. Il primo passo verso la Formula 1 è andato, ma la giornata è ancora lunga. Prima di calarci nuovamente nelle nostre monoposto, dobbiamo prima mettere alla prova i nostri riflessi, utilizzando il Batak: 12 pulsanti che si accendono in sequenza casuale. La sfida è premerli tutti il più velocemente possibile in 60 secondi. I piloti professionisti arrivano a 130-140 “tap”, io mi sono fermato a 84. Ammetto di essermi sentito molto nonna ferma al semaforo con la frizione in mano. Però mi consolo: il migliore del mio gruppo si è fermato a 87. Niente male, insomma… sono nella media.
Poco dopo si torna al volante dei 185 cavalli della Formula Renault, che monta un motore derivato dalla Clio stradale. Questa volta, però, niente safety car davanti a noi, così si può provare a spingere. Il divertimento è assicurato, specie quando si arriva al famoso curvone Signes. Farlo in pieno, per un novellino come il sottoscritto, è rischioso nonostante l’aderenza impressionante di questi piccoli missili. La paura di far danni è troppa, inutile giocarmi la possibilità di fare il salto sulla F1 nel pomeriggio. Alzo il piede, ma mi diverto comunque.
Poco prima di pranzo, tutti davanti ai box per la foto di gruppo: Sorridete all’uccellino… dite cheese… Ci abbiamo messo un po’ a sistemarci, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. E poi via verso il motorhome della squadra per un veloce e leggero pranzo, con la mente già proiettata sulla monoposto regina.
In sala briefing, l’istruttore diventa più serio del solito e ci spiega per la seconda volta la procedura per far partire il motore V8 che equipaggia la nostra F1. Si preme l’acceleratore all’8% e si dà il segnale ai meccanici di avviare il motore. A quel punto, si preme la frizione e si inserisce la marcia. Lo stacco frizione è quello più delicato e far spegnere la vettura è più semplice di quanto si creda. Aspetto il mio turno in trepidante attesa. A differenza della mattinata, non potrò fare molti giri come sulla Formula Renault 2.0. Solamente due passaggi sulla monoposto tanto sognata. Ma, come si dice? Chi si accontenta gode.
Quando l’istruttore chiama il mio nome, indosso casco e guanti e mi lancio. Una volta dentro, faccio un respiro profondo. Chiudo gli occhi un attimo, poi li riapro. Cavoli, è tutto vero. Accendiamo il motore e un brivido percorre tutta la mia schiena. Dopo un primo approccio maldestro con quella stramaledetta frizione, riesco a partire senza grandi problemi. Esco dalla pitlane e abbasso la visiera del casco, inizia lo spettacolo.
Al termine del primo giro, qualcosa va storto. Sul rettilineo principale non entrano più le marce. Sono costretto a fermarmi poco prima dell’uscita della pitlane e provo uno strano senso di frustrazione… Chissà che nervi quando succede in gara! Mi riportano ai box, ma mi danno la possibilità di riprovare. Questa volta va tutto liscio: dopo il primo giro di apprendistato, provo a tirare tutte le marce. La potenza è brutale, i 700 cavalli si sentono urlare dietro la schiena ed ogni cambiata è un colpo di fucile. Il V8 Renault scalpita, ma la testa mi suggerisce di non esagerare. Prima delle curve, bisogna letteralmente pestare il pedale del freno con un colpo secco, quasi fosse un calcio, altrimenti la macchina tira via dritta, rallentando solo un po’. Effetti collaterali dei freni in carbonio: se non li mandi in temperatura, sei fuori!
I due giri al volante della monoposto volano via veloci. Rientro ai box e fermo la vettura, ma in cuor mio avrei voluto continuare fino allo stremo delle forze.
Ma ci sono ancora due giri da fare. Due hotlap con delle biposto guidate da due giovanissimi piloti del vivaio della Lotus. Si inizia con una particolare F. Renault 2.0 biposto, dove non c’è lo spazio per stirare le gambe. Si sta dentro accovacciati, ma non è un gran problema. A portarmi a spasso ci pensa Esteban Ocon, quindicenne che corre quest’anno nell’EuroCup di Formula Renault. Appena usciti dai box, capisco che in confronto ero lento come una lumaca. L’aderenza della vettura è eccezionale e consente ad Esteban di buttarsi dentro alle curve con estrema nonchalances. Arrivati a Signes, il francese affonda il gas e la affronta in pieno, mentre con l’altra mano tocca il mio casco dietro. Olè, facciamo anche gli sboroni!
Rientrato ai box, non sapevo che aspettarmi dall’ultima esperienza folle della giornata: il giro veloce con la biposto di Formula 1. Avvicino il pilota e scambiamo due chiacchiere: è Kevin Korius, l’Estone diciannovenne che corre nella Formula Renault 3.5. Mi dice: “Tranquillo, questa va anche più piano della mia monoposto da gara”. E meno male! Alla prima frenata, credevo mi si staccasse la testa. La velocità non è un problema, ma quando Kevin butta la vettura in curva frenando, le forze G mi confondono le idee. In men che non si dica mi ritrovo nuovamente nella corsia box, a ridere come un matto dentro il casco, pensando a cosa ho appena vissuto.
Scendo dalla vettura e mi rendo conto di avere l’adrenalina a mille. Mai stato meglio in vita mia. Eppure avevo sfidato le forze della fisica come mai prima d’ora. Mai fatto niente di più incredibile. Il tempo stringe e la giornata giunge al termine. Ci si scambia le mail con i presenti, si fanno le ultime foto, ci si rinnova l’appuntamento alla prossima esperienza. Ma qualunque essa sia, non sarà mai uguale a questa.
A mente fredda, mentre ci riportano all’aeroporto di Marsiglia, prendo consapevolezza di aver finalmente capito la differenza tra i verbi guidare e pilotare. Quello che fanno i piloti ogni domenica è qualcosa di eccezionale. Vanno avanti per oltre 300 chilometri a velocità folli e in condizioni più disparate, tra manettini e regolazioni, strategie, tempi sul giro, pressioni esterne e molto altro. Eppure a noi appare come la cosa più semplice e naturale di questo mondo.
Nessun onboard camera, nessun simulatore, davvero nulla potrà mai farvi capire che cosa si vive in quelle monoposto, quali pensieri possono passare in quei momenti sotto il casco. Prendere le giuste decisioni in millesimi di secondo è roba da matti, davvero incredibile. Facile parlare dalla propria poltrona di casa: spesso li si ridimensiona, li si definisce pilotini viziati, da generazione playstation. Certo, rispetto al passato è tutta un’altra roba, ma prima di sparare sentenze, bisognerebbe provare a scendere in pista con questi mezzi per immedesimarsi meglio.
Insomma, questa Pirelli F1 Experience mi ha confermato un pensiero che avevo già da tempo: anche l’ultimo dei rookie in F1, merita tutta la nostra stima. E’ il top dell’automobilismo. Il non plus ultra della guida. La parola d’ordine resta una: rispetto. Aveva ragione il Drake quando diceva: “Piloti, che gente!”.