Indy 500, solo 14 giri per Alesi: ne valeva la pena?
Facciamo un passo “breve”, da Montecarlo superiamo l’Atlantico e buttiamo un occhio alla 500 miglia di Indianapolis, una delle gare più illustri del mondo. C’è Rubens Barrichello, ormai titolare effettivo in IndyCar, c’è soprattutto Jean Alesi.
Qualcuno l’ha preso per pazzo, qualcun altro per un eroe. Di mezzo c’è un pilota quarantottenne che non voleva sentirsi un ex, che inseguiva un sogno e che in un modo o nell’altro l’ha coronato.
Alesi, indimenticato ex di F1, ha strappato con le unghie e con i denti una qualificazione impossibile a Indianapolis. Ultimissimo in griglia per colpa di un motoraccio, quello Lotus, acciaccato, spompato e dimissionario. Troppo lenta la Black e Gold versione Yankee rispetto alle concorrenti per far fare bella figura al veterano francese.
Eppure Jean ce l’ha fatta, regalandosi l’emozione di prendere il via dopo aver ascolato il famigerato “The Star-Spangled Banner” e aver vissuto la botta di adrenalina dettata da una bandiera verde che sembra non arrivare mai.
Come il “Don Chisciotte” di Cervantes, Alesi ha combattutto la sua battaglia contro i mulini al vento, correndo contro quei 210 miglia orari di media che sono imbarazzanti rispetto ai tempi del gruppo. Non ne ha colpe ma la sua 500 miglia è stata una 30 miglia o poco più. Quattordici tornate, una passerella che sa di calvario, una firma in calce che brucia più che pesare.
Fermato dalla direzione gara perchè troppo lento. Jean Alesi, il pilota di F1 che qualche migliaio di Km più su – a Montreal – ha fatto piangere di gioia l’universo ferrarista ,si ritrova piccolo e quasi fa tenerezza. Una mascotte e non il guerriero che merita di essere. Insomma, ma ne valeva davvero la pena?
Mesi di preparazione fisica, contratti, viaggi, impegno assoluto per salutare la sua America così, sorridente con una coppola in testa ma non certo da protagonista. A nessun pilota, di nessuna categoria, piace essere fermato perchè troppo lento. Nemmeno se la colpa è tutta della monoposto.
Dà fastidio a prescindere, è un colpo duro da digerire. Soprattutto se ti chiami Alesi. Diciamolo pure è sata una figura magra, magrissima. Anche se a vincere probabilmente sono state le ragioni del cuore. Una storia da dimenticare e allo stesso tempo una storia da raccontare questa esperienza oltreoceano di Jean. Sono due facce della stessa medaglia, da mettere al collo con fierezza nel gioco di passione che sono i motori.
Eroico, folle, gliadiatore, inopportuno, avventato? Decidete voi. Certamente irriducibile, se così ha commentato la sua gara “Le regole sono queste, peccato. Ma farò di tutto per esserci anche l’anno prossimo”. Non avevamo alcun dubbio Jean.