Arrivederci Rubens, gregario e Leonida della F1
“La settimana prossima sistemeremo tutto, sono fiducioso”. Con queste parole Rubens Barrichello ha confermato ufficiosamente il suo passaggio in Indycar, mettendo la parola fine alla sua carriera in Formula 1.
E dopo quasi vent’anni di Gran premi il nome Barrichello è diventato un marchio. Barrichello è sinonimo di professionalità, dedizione, abnegazione, impegno, longevità agonistica. E’ allo stesso tempo il sinonimo della seconda guida perfetta.
Leale, obbediente agli “ordini superiori”. Mai tanto veloce da impensierire il compagno di turno più quotato ma abbastanza competitivo per seguirlo come un’ombra, per farne le veci, per aiutarlo davvero. Non a parole o con promesse non rispettate, ma con fatti pesanti.
Ce ne fossero in giro di scudieri forti come Rubinho, che da ragazzino studiava per essere l’erede di Ayrton Senna, il suo idolo di sempre. Una carriera folgorante nelle serie minori in Europa, poi il salto in F1 a ventun anni in Jordan con la fama di predestinato.
Il suo mentore Ayrton se lo coccola ma il destino nei primi anni è amaro. Un incidente terribile lo lascia privo di conoscenza durante le libere di un Gp tragico, lo stesso della morte di Ayrton.
La vita di Rubens viene stravolta nell’arco di tre giorni. Riprende a fatica la forma migliore, perde forse un po’ di quella incoscienza e spregiudicatezza che trasforma in teoria un pilota veloce in un fenomeno.
La vera consacrazione agonistica arriva ben cinque anni dopo, nel 1999, quando con la sorpresa Stewart finisce tre volte a podio. Convince così la Ferrari che decide di affidargli un volante dal 2000.
E’ l’inizio di una epopea straordinaria, Barrichello con Schumacher formerà la coppia più vincente di tutti i tempi. Rubens entra in Ferrari con il sogno di sfidare Schumi, si accorgerà presto di non essere lui l’uomo di classifica scelto dal team per vincere il Giro ma soltanto il più prezioso dei gregari.
Con la Rossa arrivano nove vittorie in sei anni, alcune delle quali memorabili. Su tutte Suzuka 2003, quando anela lo spirito di squadra della Ferrari consegnando con una gara magistrale il sesto mondiale a Schumacher.
Un’altro successo da incorniciare è Cina 2004, prima volta a Shanghai per il Circus, con il presidente Montezemolo che chiede a tutti i costi una vittoria per l’importanza commerciale del mercato asiatico. Niente di più facile con la F2004. Ma Schumi manca clamorosamente all’appello. E ci penserà Rubinho, ancora una volta tappabuchi di lusso. Ancora una volta arriva il gol che non t’aspetti del mediano.
Collaudatore fine, gran sensibilità di piede sul bagnato, veloce sia sul giro singolo che in gara. Sono tanti i pregi tecnici di Barrichello ma a fare da contraltare ci sono alcuni limiti caratteriali.
Lui che è la quintessenza della malinconia brasiliana, la saudade, piagnucolone spesso senza motivo. Sempre troppo restio ad accettare l’evidente superiorità alla guida di Michael Schumacher.
Gli anni in Rosso diventano pesanti, quasi un tormento. “Il materiale non è lo stesso”, “La squadra fa solo quello che dice lui” ecc… La rottura definitiva nella farsa di Indinapolis nel 2005. Stop, è ora di cambiare.
Arriva la Honda, poi diventata Brawn. Nel 2009 due vittorie ma anche la colpa più grande. Quella di non riuscire a lottare per il titolo nemmeno contro il team mate Jenson Button, pilota fortissimo ma non certo paragonabile a Schumacher.
Arriva così la Williams e un lento crepuscolo. Ma Rubens non molla, combatte contro il tempo che avanza e avversari tenaci. La F1 sono le sue Termopili. Da lì non si passa. Come Leonida che resiste ai persiani, stoico combattente fino all’ultimo.
Ad Abu Dhabi nel 2011 è autore di una strepitosa quanto inutile rimonta. Nonostante sia teoricamente già appiedato e senza obiettivi di classifica.
Il veterano è in piedi finchè può. Lotta con il cuore, si sbraccia, prova a ripetere numeri impossibili come quello della prima e indimenticabile vittoria in Germania nel 2000.
Quando trionfò guidando sotto un diluvio con le gomme da asciutto, facendo commuovere tutti, ferraristi e non.
Perchè in fondo la generosità e la passione pagano sempre, per questo mai nessuno ha parlato male di Barrichello. Prima giovane promessa, poi grande gregario, infine esempio per giovani piloti come Hulkenberg e Maldonado.
E adesso, uno con il suo palmares – il più presente di tutti (323 Gp), vincitore di 11 Gp e sei titoli costruttori, nonchè due volte vicecampione del mondo (2002 e 2004)- è pronto a gettarsi con entusiasmo in un altro mondo.
Quello dell’America corsaiola fatta di ovali e spettacolo, meno complicata e tecnologica ma non per questo meno competitiva. Acceleratore, freno e gomme fumanti, tutto in formatoYankee.
Per uno come Barrichello che si definisce “Amante della velocità” è il massimo. E se nella 500 miglia di Indianapolis un “matto da legare” farà un’invasione di pista magari Rubinho si troverà catapultato nella Victory Lane a bere la bottiglia di latte più ambita nel mondo delle corse.
A noi per adesso piace ricordarlo come pilota di F1 così: