Mateschitz: “Piloti liberi”. Ma la RB non sa vincere…
C’è da scommettere che finirà tutto ancora una volta nel più classico dei “chi predica bene razzola male”. Non è un caso che il leitmotiv in casa Red Bull è lo stesso da due anni a questa parte.
Ovvero piloti liberi di darsi battaglia, di giocarsi tutte le loro carte nella lotta mondiale.
Belle parole, certo, ma quasi mai suffragate dai fatti. Chiedere a Mark Webber, plurisacrificata seconda guida sull’altare della patria, messo da parte più di una volta per far spazio all’ascesa incontestabile e meritata di un fenomenale Sebastian Vettel.
Eppure il proprietario dei Tori più veloci del mondo, Dietrich Mateschitz, ribadisce a un mese dal mondiale un concetto più volte espresso:
“I nostri piloti saranno liberi di sfidarsi per il mondiale, la Red Bull non farà mai giochi di squadra. Il nostro atteggiamento non è cambiato. Sebastian dovrà essere bravo a riconquistare l’iride e chissà che non possa soffiarglielo proprio Mark. Si riparte nuovamente daccapo e i nostri piloti sono alla pari” .
Un imprenditore che mette il marchio prima di ogni altra cosa siamo sicuri proverebbe un pelino di soddisfazione a vincere il terzo mondiale di seguito con un pilota diverso. Magari più attempato.
Già immaginiamo lo slogan: “La Red Bull ringiovanisce e rinvigorisce“. Anche per questo Didì Mateschitz punta da sempre su Webber. Affezionato com’è all’idea dell’atleta irriducibile.
Una simpatia, una stima, tante volte ribadita. “Mark è un grandissimo pilota” affermò il boss Red Bull non più di qualche mesetto fa.
Eppure la squadra, il team in pista, la pensa in modo radicalmente opposto. Ragionando come squadra efficiente e non come marchio di bevande. Un comportamento, d’altronde, pienamente rispettabile.
Basti pensare a Zeltweg 2002 e a tanti altri episodi del passato più o meno recente, la F1 è sempre stato uno sport individuale e di squadra allo stesso tempo. Non c’è da scandalizzarsi se si prova a tirare il massimo in fatto di punti e classifica dall’ordine d’arrivo concordato a tavolino di due vetture al traguardo. Inutile fare i falsi moralisti.
Però può dare, e in effetti dà, fastidio l’atteggiamento ipocrita di chi si erge a tutore dello sport per eccellenza. Di chi sta lì con il dito puntato verso gli altri, pronto a criticare. Di chi, nonostante due anni di successi, non ha ancora imparato a vincere.
Così tuonava un infantile Helmut Marko qualche settimana fa: “Il musetto nostro è molto più bello di quello della Ferrari”. Gradino, scalino, gobbetta uguale tra le due scuderie. Questo musetto di gran stile non si è visto, se non per quella fessura foriera degli ennesimi dubbi sull’operato di Newey. Insomma, l’ennesima pessima figura.
Come quella di chi con un mondiale in tasca intima a Webber di rallentare in Inghilterra pur di non attaccare il bambino d’oro. Con buona pace dello spirito avventuriero e certamente genuino di Mateschitz.
Gli ideali e la propaganda spesso si scontrano con una realtà ben più cinica, dura e pragmatica. E la Red Bull non fa eccezione.
Un team costruito per vincere, con pochi scrupoli e gerarchie nette al suo interno. Una squadra che spende contro ogni logica di “fairplay finanziario”. Quello che in F1 chiamavano “accordo di riduzione dei costi (Rra)”.
La Red Bull è una scuderia seria e competitiva, ma non certamente quel team colorato e simpatico che sogna di rappresentare lo sport pulito nell’immaginario collettivo. Questo dev’essere chiaro…