Il dramma di Bianchi cambierà per sempre la Formula 1
Una riflessione a caldo su quello che abbiamo imparato oggi a Suzuka. Con Jules nel cuore e nelle preghiere, si torna a parlare di sicurezza in Formula 1.
Il mondo della Formula 1 vive ore di apprensione a causa del gravissimo incidente occorso a Jules Bianchi nel corso del Gran Premio del Giappone. Lo schianto del giovane pilota di Nizza ha posto fine anzitempo al Gran Premio, lasciando il paddock nello sgomento più totale. Il viso dei piloti sul podio diceva molto di più delle parole spese da Hamilton, Rosberg e Vettel per esprimere il loro dispiacere e la loro preoccupazione per le sorti del loro collega. Quelle sul viso dei piloti erano le espressioni di tre uomini che, forse per la prima volta, sono stati messi davanti alla propria mortalità e al rischio connesso al loro lavoro, a quella passione che è diventata tutta la loro vita.
Nati negli anni Ottanta, questi piloti rappresentano la prima generazione di campioni a non aver fatto i conti direttamente con la morte nel loro sport. Negli anni Settanta, una media di quattro piloti all’anno moriva o restava gravemente ferito in incidenti di gara in Formula 1; al giorno d’oggi, a 20 anni dall’ultima fatalità in gara, quella di Ayrton Senna ad Imola, i passi da gigante fatti nel campo della sicurezza hanno forse indotto l’opinione pubblica, e gli stessi piloti, a considerare questo sport come una pratica pericolosa, ma non potenzialmente mortale.
Probabilmente non vedremo mai il video dell’incidente, come è giusto che sia, data la natura gravissima dello schianto, ma le poche immagini trapelate ci restituiscono la severità dell’accaduto e ci fanno tornare con i piedi per terra: vie di fuga, HANS, e tutti gli altri ritrovati per l’aumento della sicurezza non hanno comunque eliminato alla radice il rischio di andarsene in una domenica apparentemente come tutte le altre. L’arrivo in Formula 1 di ragazzi sempre più giovani, come Max Verstappen, rampante teenager che guiderà da titolare a soli 17 anni, testimonia forse come questo sport sia considerato sicuro, tanto da far debuttare un pilota che, seppur di talento, ha al suo attivo solo 30 gare su monoposto. Il dramma di Jules ci dimostra che le cose stanno diversamente. Non si tratta di un freak accident, come direbbero gli anglofoni, di una tragica casualità, come l’incidente di Massa in Ungheria nel 2009. Un ragazzo di 25 anni, talentuoso, garbato, bello, con tutta la vita e una brillante carriera davanti, è in fin di vita nel 2014 per un incidente di gara; questo fatto, oltre a scioccare il pubblico e il paddock tutto, indurrà sicuramente i suoi colleghi a riflettere.
La drammatica parabola di Bianchi, passato dalla speranza di approdare in Ferrari, prima dell’annuncio dell’addio di Vettel alla Red Bull, alla sala operatoria nel giro di pochi giorni, non mancherà di far riflettere i piloti, ma deve anche essere uno sprone per un ulteriore miglioramento della sicurezza in pista, ma soprattutto a bordo pista. La morte di Ayrton Senna, fulgida stella del firmamento della Formula 1, figura complessa ed estremamente affascinante, ebbe come risultato l’inizio di quel processo di miglioramento della sicurezza in pista che ha reso possibile l’esistenza di una generazione di piloti usciti indenni da schianti spaventosi, come quello di Robert Kubica nel Gran Premio del Canada del 2007. Il sacrificio di Senna, che sconvolse il pubblico e gli addetti ai lavori, permise dunque, grazie all’instancabile volontà di Sid Watkins, di far diventare la Formula 1 lo sport apparentemente sicuro che è oggi. Ma è davvero cosi?
L’incidente odierno deve indurre ad una riflessione profonda sul modo in cui vengono gestiti i mezzi di soccorso e sulla preparazione e l’impiego dei commissari di pista. Perché la Safety Car non è stata immediatamente chiamata in causa dopo l’incidente di Sutil, viste anche le condizioni meteo problematiche, che rendevano più probabile un ulteriore fuori pista da parte di un altro pilota?
Un altro interrogativo sorge spontaneo: quante volte si è sfiorata la tragedia, e solo la fortuna ha salvato un pilota dal destino beffardo che ha colpito Bianchi? Inevitabile pensare alla Jeep in pista che si è parata davanti a Sebastian Vettel lo scorso anno in Corea, oppure ricordarsi dell’inettitudine degli inesperti commissari di pista in occasione delle prime edizioni dei Gran Premi extraeuropei, come Singapore. Quante volte solo il fato ha permesso di evitare tragedie? Si può pensare a diverse soluzioni, come quella, piuttosto radicale, di adottare il sistema usato negli USA, che prevede lo stop della gara e il ritorno ai box durante le operazioni di soccorso e di rimozione della monoposto dopo un incidente. Si potrebbe anche optare per la formazione di figure professionali ad hoc per le operazioni a bordo pista, creando un team di commissari di pista fissi da far viaggiare con il resto del Circus per il mondo. Ad ogni modo, è necessario trovare una soluzione. Il problema è che, come nel caso di Senna, sia stato ancora una volta un avvenimento gravissimo a sollevare la questione.