Rush, la rivalità tra Hunt e Lauda: un film da non perdere

Un film adrenalinico ed emozionante, a tratti commovente. Abbiamo assistito alla première italiana a Roma e possiamo promuovere il film che, salvo piccoli particolari, merita d’essere visto anche da chi le corse automobilistiche le ha sempre snobbate.

rush-il-film-su-hunt-e-lauda-d2b3ef3262e19b8e31c1ceb6f028ec8eGli appassionati di Formula 1 stanno già facendo il conto alla rovescia in vista del prossimo 19 settembre, data d’uscita in Italia di Rush, un film con la regia di Ron Howard e dalla sceneggiatura scritta da Peter Morgan. Tutti si stanno facendo la stessa e ripetitiva domanda: Ne varrà veramente la pena andarlo a vedere? La risposta possiamo darvela in anteprima, ed è… assolutamente sì.

Invitati a prendere parte alla premiére italiana a Roma, lo scorso sabato,  abbiamo lasciato fuori ogni possibile pregiudizio e ci siamo concentrati su due ore di spettacolo che meritano d’esser visti, anche da chi non ha un gran rapporto con le corse automobilistiche.  Ciò che racconta Rush è che vincere non è semplice e necessita di sacrificio e spirito di abnegazione che non è da tutti avere. Ma mette in evidenza elementi che non ti aspetti, come il fatto che – a volte – non vale la pena di affannarsi alla ricerca del successo e tocca arrendersi per poter vincere umanamente.

Spesso si dice che un film ha bisogno di un eroe e di un cattivo. Rush dimostra che non è sempre così e riesce a fare qualcosa di diverso. Non c’è nessun cattivo, ma solo due eroi. E non importa da che parte stiate, se dalla sregolatezza di Hunt o dalla pragmaticità di Lauda. Non importa, perché comunque avrete a che are con uno dei protagonisti.

Nonostante il doppiaggio italiano faccia perdere un po’ di appeal al film, soprattutto al personaggio di Lauda, c’è tutto il resto a compensare. La fotografia, per esempio, con i suoi colori poco saturi e grana grossa ricorda molto gli anni ’70 e riesce comunque a ben sposarsi con inquadrature e primi piani ravvicinati, onboard camera e render modernissimi.

Mentre Chris Hemsworth ha ricevuto un po’ di critiche per il personaggio di Hunt, Daniel Bruhl merita una menzione speciale. I mesi passati con Niki Lauda hanno dato gli effetti sperati: Bruhl non imita Niki, ma lo interpreta in maniera magistrale, sia nel modo di parlare che nelle movenze, tanto da far rimanere a bocca aperta lo stesso ex pilota austriaco. Così, mentre Hunt è il figo di turno che piace a tutti, Lauda è ritratto come il classico bruttino e saccente, che riesce ad essere antipatico senza esserlo davvero.

Ma dove vuole condurci realmente il film? A svelarlo sarà un dialogo finale che tirerà le somme, rifacendoci percorrere tutta la storia. Forse i puristi delle corse potrebbero rimanere un po’ delusi, ma dal punto di vista umano, Rush sarà un successo.

L’attenzione degli appassionati di motori che si fionderanno al cinema ad assistere alla rievocazione dello storico duello tra Hunt e Lauda si concentrerà anche sulle due  monoposto che hanno fatto la storia di McLaren e Ferrari. Ossia la M23 del team inglese e la 312T2 del Cavallino Rampante.

La McLaren M23 venne progettata da Gordon Coppuck, in collaborazione con John Barnard. Ispirata alla famosa Lotus 72, con cui ne condivide il layout, venne sviluppata partendo da un modello pensato per la Indycar, la M16.
Pur essendo molto spigolosa, aveva un’ottima aerodinamica che la fece diventare una delle McLaren più longeve della storia, tanto da essere utilizzata per sei stagioni. Venne infatti utilizzata tra il 1973 e il 1978, tanto da disputare ben 83 Gran Premi valide per il Mondiale di F1, ma venne spesso impiegata anche altrove. Per esempio, alla Race of Champions ’76 e ’77, con alla guida James Hunt, o nella Formula Shellsport dove Emilio De Villota conquistò due vittorie.

Il debutto della M23 avvenne nel ’73 e a spingerla c’era un motore Cosworth DFV preparato da John Nicholson. Negli anni venne evoluta con delle sospensione inboard e i freni a disco esterni alla sospensione anteriore e interni a quella posteriore. Nel 1976, anno del mondiale conquistato con James Hunt, la vettura venne dotata di un cambio Hewland a sei rapporti, oltre che di numerosi affinamenti aerodinamici.

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La Ferrari vinse il titolo 1975 con Niki Lauda con la Ferrari 312T, progettata da Mauro Forghieri. Fu la prima di una serie di vetture dotate di cambio trasversale – da qui la denominazione T – ed era anche una delle monoposto dal design più semplice sulla griglia di partenza.  La 312T corse per 14 gare, conquistando 9 vittorie – 7 con Lauda e 2 con Regazzoni – e con esse il titolo piloti e costruttori di quell’anno. Venne utilizzata anche nelle prime quattro gare del 1976, prima di essere sostituita con la sua evoluzione: la 312 T2.

I regolamenti tecnici del 1976 costrinsero la Ferrari a rivedere il progetto, tanto che la Scuderia partecipò con la 312T alle prime gare del mondiale ’76, in attesa della nuova vettura. A partire dal GP di Spagna, i regolamenti vietarono la grande presa d’aria a periscopio che aveva caratterizzato la monoposto dell’anno precedente e la Rossa schierò finalmente in pista la nuova 312T2.

Equipaggiata con freni a disco e un cambio a 5 rapporti, era spinta da un motore posteriore longitudinale, un V12 a 180 gradi da 2991 cm3, capace di erogare 500 cavalli a 12.200 giri al minuto. La monoposto era caratterizzata da dei condotti che partivano dalla zona anteriore fino all’abitacolo, portando l’aria alle due file di carburatori sopra alle teste cilindri, mentre altri condotti portavano l’aria di raffreddamento ai radiatori.
La vettura era stata alleggerita grazie alla nuova struttura del telaio, mentre le sospensioni ricalcano quelle dell’anno prima. Tuttavia, fu proprio una sospensione a causare l’incidente al Nurburgring del 1° agosto ’76, spezzandosi insieme al sogno del bis iridato del pilota austriaco.

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