Aerodinamica, la storia in pillole – Parte 1
Primo appuntamento a cavallo tra la tecnica e l’amarcord. Una serie di articoli che ci porteranno in viaggio nell’evoluzione dell’aerodinamica tra le prime applicazioni e le sofisticate idee dei giorni nostri.
Aerodinamica sì, aerodinamica no. Ultimamente, insieme al comportamento degli pneumatici, questo argomento toglie il sonno agli ingegneri che devono districarsi tra le limitazioni di un regolamento pieno di divieti, ma soprattutto di zone grigie da sfruttare a proprio favore.
Ci ritroviamo spesso a parlare di aerodinamica, ma raramente ci addentriamo nella sua evoluzione dagli albori ai giorni nostri. Vogliamo così prendervi per mano e portarvi a spasso nel tempo, con una serie di articoli dedicati proprio alla storia dell’aerodinamica e della sua applicazione in campo automobilistico.
L’aerodinamica è una scienza progredita di pari passo ai primi sviluppi nel campo dell’aviazione, nella prima parte del XX secolo. Per quanto riguarda le automobili partecipanti alle prime competizioni degli Anni 30, si puntava a privilegiare l’ottenimento di alte velocità di punta cercando di ridurre il più possibile la resistenza: dalle prime ricerche aerodinamiche era emerso che ciò era ottenibile realizzando delle carrozzerie caratterizzate da forme molto affusolate e penetranti. Ad alte velocità, però, tutte le monoposto a ruote scoperte possiedono inevitabilmente coefficienti di portanza, anche di piccola entità, che tendono a far sollevare la vetture. Per migliorare la stabilità ed avere più maneggevolezza, gli ingegneri hanno provato la via dell’applicazione di superfici alari capovolte per ottenere portanza negativa, cioè deportanza. Il primo esempio di quest’applicazione è del 1928 sulla Opel RAK2, la seconda vettura sperimentale del marchio tedesco azionata da un motore a razzo.
In Formula 1 però le superfici deportanti non vennero usate comunque per altri 30 anni. Infatti solo verso gli Anni 50 e 60 l’aerodinamica ha iniziato a ritagliarsi un ruolo più importante nello sport automobilistico, prima nella serie Can-Am oltreoceano, grazie alle idee di Jim Hall sulla Chaparral, e poco dopo in Formula 1. Le vetture da corsa devono essere fondamentalmente veloci, per raggiungere la massima velocità nei rettilinei, visto che essi costituiscono la parte predominante dei primi circuiti automobilistici.
L’obiettivo reale di una vettura da corsa è, però, quello di massimizzare l’accelerazione in tutte le direzioni. Infatti una vettura vincente è quella che riesce ad accelerare nel modo migliore per ottenere elevate velocità in rettilineo (accelerazione longitudinale positiva), ma dev’essere capace di decelerare consistentemente per poter ritardare la frenata il più possibile (accelerazione longitudinale negativa). Soprattutto deve possedere la capacità di generare elevate accelerazioni centripete per percorrere le curve ad alta velocità.
Un motore potentissimo può essere usato per andare forte in rettilineo, ma la velocità in curva resta subordinata all’aderenza al suolo. Questa, a sua volta, è legata alla sezione dei pneumatici, al loro coefficiente di attrito e alla capacità delle sospensioni di tenere il pneumatico aderente al suolo. Questi fattori sono stati, fino all’avvento delle appendici aerodinamiche, evidentemente bassi perché la velocità di percorrenza della curva è rimasta molto distante dalla velocità massima che la vettura poteva sviluppare in rettilineo. Il ricorso ai dispositivi aerodinamici ha quindi permesso di ridurre in modo drastico la differenza fra velocità massima e velocità di percorrenza delle curve. Gli alettoni, oltre a creare deportanza, creano anche una resistenza aerodinamica all’avanzamento. L’aspetto positivo, però, supera di gran lunga quello negativo. Ci si è trovati davanti al fatto che il tempo guadagnato in rettilineo da una vettura velocissima, ma lenta nelle curve, è inferiore al tempo guadagnato da una vettura più lenta in rettilineo ma molto veloce nelle curve.
Il GP del Belgio di Formula 1 del 1968 è stato quello della vera e propria rivoluzione. Il merito va accreditato alla Ferrari, visto che la monoposto che cambia le regole del gioco dal punto di vista aerodinamico in quel GP è la 312 F1 di Chris Amon. La monoposto presentava un’ala inversa montata subito dietro il roll-bar. Non a caso ottenne pole position e vittoria e tutte le altre squadre hanno iniziato ad adoperarsi per copiare questa soluzione dalla gara seguente.
Da lì è iniziato uno studio continuo e forsennato nella ricerca della deportanza, gli anni 70 hanno visto un tesoro di soluzioni e scoperte affascinanti. Soltanto l’intervento della Federazione nel 1983, con l’introduzione del fondo piatto, e nel 2009, con l’abolizione delle varie appendici aerodinamiche, ha rallentato – ma non certo fermato – questa costante ed esasperata ricerca.
Il progresso tecnologico e le varie modifiche al regolamento da parte della FIA hanno quindi segnato questa costante escalation di soluzioni ed innovazioni per riuscire ad avere monoposto il più possibile performanti, nella continua competizione con i diretti avversari, e per poter raggiungere per primi la bandiera a scacchi.