L’importanza dei Crash Test in Formula Uno
Viaggio nel complicato mondo dei crash-test in Formula 1: tra carbonio sbriciolato, forze G e misurazioni in millisecondi. La sicurezza dei piloti passa da qui.
Siamo abituati a vedere le monoposto di Formula 1 sempre tirate a lucido, con le loro forme sinuose ed aerodinamicamente perfette, pronte a sfrecciare sui circuiti di tutto il mondo. Ma prima di poterle portare in pista, c’è un passaggio a cui nessuno può sottrarsi: il crash-test. Perché ancora prima di essere performanti, le vetture di F1 devono essere sicure.
La FIA ha introdotto i primi crash test negli anni ’80. Charlie Whiting, delegato tecnico della FIA, racconta: “Il primo è stato introdotto nel 1985, ma era un semplice test ad impatto frontale. Solo nel 1998 si è iniziato a testare un telaio completo. Allo stesso tempo, abbiamo introdotto le prove di carico statiche, comunemente chiamati test di compressione. Negli anni a venire, poi, sono stati introdotti anche le prove di ribaltamento e i test di impatto laterale e posteriore”.
Cinque prove dinamiche e tredici di carico statico sono effettuate su praticamente ogni parte della vettura. Al mondo, ci sono solamente tre centri autorizzati dalla FIA in grado di misurare con precisione assoluta i dati rilevati dai vari test d’impatto. Due sono nel Regno Unito (Cranfield University e il Trasport Research Laboratory) e uno in Italia (Centro Sicurezza Italiano di Bollate, Milano).
Le prove di impatto frontale vengono eseguite a 54 Km/h, quello laterale a 36 Km/h, mentre quelle di impatto posteriore a 39.6 Km/h. Possono sembrare velocità molto basse, ma sono state scelte per consentire la misurazione più accurata da parte dell’elemento da testare che ha il compito di assorbire tutta l’energia scaturita dall’impatto. Durante queste prove, poi, la parte da sottoporre al test viene scaraventata contro un muro di metallo che non offre nessun flessione, dunque sarà solo la parte della vettura a dover dissipare tutta l’energia.
I limiti per la decelerazione sono definiti con assoluta precisione. Ad esempio, durante la prova di impatto frontale, la decelerazione misurata sul petto del manichino non deve essere superiore a 60G (circa 60 volte il peso corporeo) nei primi tre millisecondi dall’impatto, mentre l’elemento non deve avere una decelerazione di oltre 40G. E’ qualcosa di piuttosto complicato, ma che ha salvato la vita a molti piloti nel corso di questi ultimi anni.
L’approccio alla sicurezza in F1 è notevolmente cambiato dopo quel tragico weekend a Imola, nel 1994, dove morirono Roland Ratzenberger e Ayrton Senna. Da quel giorno, la FIA lavora a regole sempre più stringenti per realizzare vetture sempre più sicure.
Whiting spiega il perché i crash test diventano complicati: “Ogni team di F1 è in grado di superare i crash test al primo tentativo, senza nessun problema. Ma, ovviamente, loro cercano di costruire auto leggere e con efficienza aerodinamica molto alta. E questo richiede l’utilizzo di forme che spesso cozzano contro le tolleranze previste dai nostri crash test. Quest’anno abbiamo avuto un esempio della difficoltà di superare il test alla struttura posteriore. Una squadra si è presentata con una soluzione tecnica particolare e per poter entrare nei limiti imposti ha dovuto fare ben 15 tentativi”.
Tuttavia, il delegato tecnico della FIA ci spiega che quando non vengono superati i test, si tratta sempre di piccoli aggiustamenti da fare e non è mai capitato che una squadra dovesse riprogettare interamente il pezzo. “Quando si fallisce un crash-test, non è mai una tragedia. Si parla di piccoli errori di calcolo. Per esempio, nella prova di impatto posteriore, la decelerazione massima non può superare i 20G per più di 15 millisecondi. Basta superare di un millisecondo tale soglia e il test è fallito”.
Charlie è pronto a fare anche altri esempi, pur non facendo i nomi dei team in questione: “Quest’anno abbiamo avuto anche una squadra che non ha passato il crash-test per la cellula di sopravvivenza. Ma per farvi capire quanto è piccolo il margine su cui lavorano gli ingegneri, è bastato aggiungere uno strato di fibra di carbonio per risolvere il problema. Saranno stati, più o meno, 200 grammi in più”.
Dal 2012, inoltre, la FIA ha imposto alle squadre di superare l’intera batteria dei test prima dell’inizio della stagione. Whiting sottolinea che: “Era necessario. Le macchine facevano migliaia di chilometri senza aver superato i crash test, era una follia”. E non è raro che una squadra non prenda parte alle prime giornate di prove per non aver superato totalmente i crash. “E’ vero – ammette Whiting – quest’anno, per esempio, la squadra di cui vi parlavo prima (che ha fatto 15 tentativi per il crash-test posteriore, ndr) ha dovuto affrontare le prime due sessioni di prove invernali adottando un compromesso, utilizzando sulla vettura la struttura posteriore 2012″.
Lo studio di nuovi test d’impatto sono arrivati negli anni anche grazie all’analisi degli incidenti avvenuti in pista. Per esempio, nuove normative più stringenti sono arrivate dopo il GP d’Austria 2002, quando la Sauber di Heidfeld finì per colpire lateralmente la Jordan di Sato. Da lì in avanti furono migliorati i cosiddetti T-Bone, in modo da rendere il telaio abbastanza robusto anche a questo tipo di incidenti.
Ulteriori modifiche al cockpit sono state apportate dopo l’incidente tra Wurz e Coulthard al GP d’Australia 2007, quando lo scozzese planò a pochi centimetri dalla testa del pilota austriaco.
Ma l’incidente per eccellenza dell’era moderna della F1 è quello di Robert Kubica al GP del Canada 2007. L’angolo di impatto e il successivo ribaltamento facevano pensare al peggio: ma quel giorno, la tecnologia salvò la vita a Robert Kubica. Ed è da quel giorno che la FIA sta condotto nuove ricerche che porteranno all’introduzione di un nuovo crash test a partire dal 2014.
Ogni studio viene portato avanti grazie al prezioso contributo del Technical Working Group. “Il gruppo tecnico ha un rappresentante di ogni squadra al suo interno. C’è una grande competenza su cosa può essere o non può essere fatto. In genere ci si siede tutti intorno ad un tavolo e si ragiona per trovare una soluzione tecnica migliore, individuando il problema e adottare in tempi ragionevoli le soluzioni da portare sulle auto”, spiega Whiting.
Dall’incidente di Kubica fino ad oggi, le pareti di un abitacolo di F1 sono cresciute di ben 5 centimetri di spessore e devono resistere a urti di 250 tonnellate. “I test sono molto rigorosi e sono sicuro che per un sacco di ingegneri questo si traduce in notti insonni. Ma l’obiettivo non è complicare il loro lavoro, bensì permettere ai piloti di poter correre al limite in totale sicurezza”, conclude Whiting.
La ricerca e lo sviluppo in Formula 1 ha, inoltre, contribuito ad alzare i livelli di sicurezza anche sulle strade di tutti i giorni. La FIA ha un ruolo attivo nel programma di test Euro N-CAP e molte squadre hanno sposato delle iniziative per contribuire ad aumentare la consapevolezza dei pericoli al volante sulle nostre strade dove – in tutto il mondo – si contano migliaia di morti ogni giorno.