Morrogh a cuore aperto: “Sponsor ed elettronica? Non è F1”
Nella splendida cornice dell’Autodromo di Monza abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Henry Morrogh, storico talent scout che ha lanciato diversi talenti verso la Formula 1.
Siamo al muretto della pit-lane dello storico Autodromo di Monza, in tuta blu, pronti per fare il nostro ingresso in pista con una Mirage M012 ed abbandonare le vesti dei giornalisti ed indossare, seppur per un giorno, quelle dei piloti. Ma, ad un certo punto, appare dai box lui: una figura esile, capello bianco, spettinato solo dalla brezza che accende una fredda mattinata di metà febbraio, vestito di tutto punto in perfetto stile British… pardon, Irish man.
Quel “lui” è Henry Morrogh, la testimonianza vivente degli anni ruggenti nel Motorsport. Colui che porta avanti dal lontano 1968 la scuola di pilotaggio per giovani – aspiranti – driver che porta anche il suo nome.
Il tempo sembra voler presentare il proprio conto solo sul vecchio anello di alta velocità del circuito brianzolo, Morrogh invece ne sembra immune: “Eh, io ormai sono qui solo per divertirmi, non insegno più in prima persona ed ho ottimi istruttori. Io guardo e faccio le critiche, tutto qui. E’ solo che ho ancora la voglia di divertirmi, vedere correre mi piace ancora da impazzire, soprattutto in una giornata di metà febbraio condita da questo sole. E’ qualcosa di eccezionale! Poi chiaro, se volete che vi faccia nomi su qualche talento non vi posso aiutare, dovreste chiedere a Massimo Torre… Oggi mi diverto a vedervi correre”.
Sembra una boutade, ma il punto è che l’irlandese di Battipaglia si diverte davvero. I nostri tempi si aggirano attorno ai tre minuti netti, ma Henry invece sembra proprio interessato. Interessato come lo è della sicurezza stradale: “Nei miei corsi non si impara ad andare solo forte in pista, ma anche a migliorare attenzione, riflessi ed aumentare la sicurezza nelle strade. Trovare il limite in pista superandolo, serve anche a poter comprendere meglio cosa poter e non poter fare in strada”.
Superare i limiti. Bella storia, soprattutto se nel passato di Morrogh ha avuto un posto di rilievo una famiglia che di superare i limiti ne ha poi fatto il marchio di fabbrica: i Villeneuve. “Un ricordo su Gilles? Intanto vi voglio dire che Gilles era una persona onesta, disponibile, squisita e sincera come poche. Era un ragazzo umile, altro che montato! Non si era montato la testa, era un ragazzo semplice e ricordo il pomeriggio che passammo dopo le libere di Imola nel 1982. Parlammo tantissimo. Fu un vero piacere, un privilegio per me averci avuto a che fare”.
Inevitabile partire da Gilles. Uno dei pochi piloti che l’immaginario collettivo prostra tra i miti della F1 senza aver vinto un solo titolo, così come Stirling Moss. L’Aviatore ha però avuto un degno erede, che nel 1997 riuscì a vincere il sospirato Mondiale anche attraverso gli insegnamenti della scuola di Morrogh: “Jacques? Uno dei migliori allievi che abbiamo avuto, sotto tutti i punti di vista! Sia dal punto di vista tecnico, di guida ed umano. Un ragazzo meraviglioso. Anche se all’inizio era un po’ troppo spericolato… Un po’ come il padre. Come si dice, buon sangue non mente!”.
Recentemente, proprio il figlio di Gilles, ha dichiarato che i drivers di oggi sono tutti “pilotini da Playstation” e l’irlandese, nemmeno troppo a sorpresa ci ha detto: “E purtroppo ha ragione! Però penso che le colpe principali vadano assegnate alle vetture ed alla tecnologia ed all’elettronica di cui possono disporre. Non si può più notare i migliori, quelli bravi rimangono nella melma senza poter emergere, perché anche quelli un po’ meno dotati sono aiutati da questi sistemi. Le gare sono rovinate, non sono gare vere. E’ vero che la F1 dovrebbe rappresentare il massimo dell’espressione tecnologica da esportare nell’Automotive, ma così si danneggiano i talenti”.
All’udire la parola “talento”, ci viene subito in mente uno dei preferiti di Henry Morrogh, Nicola Larini. ufficialmente il miglior allievo dell’irlandese. L’italiano però non ha avuto una carriera di spicco in F1 e Morrogh ci spiega i perché: “La F1 è una dittatura degli sponsor. Negli anni ’70 avrei voluto fare la F2 ma era abbinata alla F1 e non ne volevo sapere perché già allora gli sponsor la facevano da padrone. Oggi, ad esempio, di italiani talentuosi ce ne sono. Mortara, Valsecchi… Ma senza gli sponsor non vai da nessuna parte. Oggi contano al 90% nel Circus. Anzi, al 99,9% se possibile. Per vedere il vero sport bisogna seguire i dilettanti, altro che professionismo”.
A quel punto, il contesto risulta ideale: Circuito di Monza, monoposto, aria, odore e musica dei motori. Morrogh con noi. Come chiudere al meglio la nostra chiacchierata se non con una battuta su Sebastian Vettel, uno dei piloti più discussi degli ultimi anni. Dietro alle lenti scure degli occhiali, poggiati sul naso per difendere dal sole gli espressivi occhi azzurri, avviene un sussulto, poi un sorriso. Non riusciamo nemmeno a finire la domanda e lui attacca: “Vettel è senza dubbio uno dei tre migliori piloti attuali. Non si discute. Non si può paragonarlo ai piloti di una volta perché è impossibile. Le vetture sono differenti e dobbiamo giudicarlo con i mezzi che dispongono oggi i piloti. I ventidue piloti che stanno in F1 oggi sono tutti bravissimi, uno a un soffio dall’altro. Se date la macchina Campione all’ultimo dello schieramento, questo potrebbe vincere delle gare. E potrebbe accadere davvero! I piloti di F1 si sono livellati, ma verso l’alto. Oggi c’è un enorme concentrazione di talento. Meraviglioso!”.
Come dire, se lo dice il maestro Henry…