Intervista al “Cuore da corsa”: Mario Donnini ci parla di F1
Due chiacchiere con Mario Donnini non sono mai due chiacchiere qualsiasi; un onore per noi di BlogF1.it ospitare sul nostro sito una delle firme italiane più amate del motorsport.
Dal mondiale 2012 al futuro, parlando più in generale dell’attuale F1. Mario Donnini non è solo una prima firma, è La prima firma, per la capacità che ha di trasmettere emozioni attraverso la parola, riuscendo a far rivivere empaticamente ai suoi lettori la stessa, sconfinata, passione che lo travolge.
Donnini è un aedo delle corse più pure e sincere, un vero proprio cantore di gesta eroiche che trascendono spazio e tempo. Quei “numeri” da novanta nei quali la competizione ha la precedenza su tutto; sugli interessi, sul denaro, sulla politica.
Ed è su questo canovaccio che il nostro “poeta” vorrebbe vedere svilupparsi la Formula 1. Più gas meno sponsor insomma, che è poi un po’ il sogno di tutti. Ma senza rovinarvi la sorpresa, gustatevi questa intervista sincera, appassionata, polemica. Romantica e “scorretta” al punto giusto, in linea con la grandezza del noto giornalista di Autosprint.
– Mario, partiamo con una domanda a bruciapelo: ma a te il mondiale 2012 è piaciuto?
“E’ stato bello e tirato e credo abbia premiato, in Vettel e la Red Bull, il pilota più meritevole al volante della monoposto più competitiva. Quanto al Gp del Brasile, è stato giusto dibattere su quella bandiera, verde o non verde, ma penso che la sostanza della stagione resti la stessa: Seb è andato complessivamente più forte di Nando, anche se di pochissimo, specie nel conteggio punti. Sì, era legittimo perfino esplorare ogni fotogramma di Interlagos, sul comportamento di Vettel, comunque credo che le chiarificazioni della Fia siano sufficienti per mettere a tutti il cuore in pace. Le sfighe si sono bilanciate: Monza e Valencia per l’uno, con l’alternatore matto, Spa e Suzuka per l’altro, con le Lotus da demolition derby”.
-Parlando più nello specifico della cosiddetta “Nazionale dei motori”, cosa ne pensi del lavoro della Ferrari; Alonso avrebbe meritato il titolo oppure no?
“La Ferrari, nel bene e nel male, ha fatto quello che ha potuto, realizzando una monoposto potenzialmente capace di finire 20 gare su 20 come la Lotus di Raikkonen, ma in grado di andare molto più forte. Quanto ad Alonso, dal 2010 a oggi, ha vinto zero titoli. Peccato. Certo, non vuol dire niente: Schumi il primo mondiale con la Rossa lo vinse dopo 4 anni di digiuno e impegno, purtroppo non premiati. Però il tedesco oltre che correre sapeva tacere. Perse un campionato a Suzuka 1998 spegnendo la macchina in griglia per una mappatura che avevano cambiato senza dirglielo, poi si ruppe una gamba a Silverstone 1999 per un guaio tecnico. E in entrambi i casi, restò zitto e muto. Non una parola di critica al team. Alonso no, il contrario: secondo me ha messo troppo sotto pressione la Ferrari. Critiche a go-go in ogni appuntamento dell’ultima parte della stagione per il mancato sviluppo. Proprio quando Massa, negli ultimi Gran Premi, si è messo ad andare quanto lui, se non di più. La verità è che nel fine campionato il braccino, più che la Rossa, lo aveva Fernando, con Massa che sembrava invece scatenato. Non vorrei che questo atteggiamento inquieto dello spagnolo, mediaticamente lamentoso e alla lunga individualista, porti a incrinare e deteriorare politicamente la sua finora indiscussa leadership di uomo squadra. Non credo che ciò avvenga, ma lo temo, sperando di tutto cuore di sbagliarmi e di poter vedere il pilota e la Ferrari diventare il clone del binomio Schumi-Ferrari dal 2000 in poi. Fatto sta che Montezemolo di recente ha detto: “Se Alonso finisse in un’isola deserta, ecco, allora io prenderei Vettel”. Beh, mi sono posto la stessa domanda: come mi comporterei se l’amore della mia vita finisse perduta in un’isola deserta? Mi fidanzerei con la sua rivale? No, l’andrei a cercare. In poche parole, penso che i due mondiali persi, a Abu Dhabi 2010 e a Interlagos 2012, qualche microfrattura tra Alonso e la Rossa potrebbero averla provocata. Meglio se roba guaribile durante l’inverno…Spero che in futuro Matador si mantenga altrettanto forte, abbia un pizzico di fortuna in più e, visto che sa parlare, impari anche a tacere in momenti molto delicati. Ne guadagneranno il suo rapporto con la Ferrari e, auspicabilmente, il palmarés di entrambi”.
– Cosa prova un amante dell’anima delle competizioni – quale sei tu – nel vedere la F1 perdersi in tutte queste polemiche sulle presunte irregolarità delle vetture; così facendo non si rischia di togliere valore ai piloti, che sono i veri eroi sulla scena?
“Polemiche sula regolarità delle vetture ce ne sono sempre state, da quando si correva nei cartoni animati degli “Antenati” di Fred Flinstones e del suo suo amico Barney. Il vero problema è verificare la regolaritàdella sfida. Ripeto: ci sono pochi circuiti veri, come Spa e Monza, e troppi insignificanti. Troppo potere al promoter – Ecclestone e la Fom – e solo facoltà di ratifica e vago indirizzo alla Fia. E’ come se nel calcio comandasse Sky mentre Fifa, Federazione e Lega non contassero quasi nulla. Tempo un mesetto e si giocherebbero le partite della Champions su un campo la metà più stretto e con le porte il doppio più larghe, solo per dar spettacolo. E’ quello che sta accadendo da anni e anni in F.1”.
– A tal proposito proprio tu, se non sbaglio, una volta paragonasti la Formula 1 attuale al Wrestling, asserendo che spesso lo spettacolo offerto è finto. Dopo un campionato così “tirato” e pieno di colpi di scena, sei sempre della stessa idea?
“Certo, ma non mi riferisco ai piloti o alle squadre, che il loro dovere in pista lo fanno, bensì agli strumenti della sfida. Dei circuiti ho già detto. Aggiungo Kers, gomme di chewin-gum – di cui la Pirelli non ha colpa- e ala mobile: queste sono cose da wrestling, che possono appassionare solo gente che delle corse ha un’idea vaga e caricaturale, da soap opera. Visto? Dicono che una gara è stata spettacolare, citando decine e decine di sorpassi avvenuti in due ore. Mi viene da ridere. Anch’io, quando vado a lavorare, da Fano a Bologna in un’ora e mezzo passo 400 autotreni, ma non ho la pretesa di dire che abbia dato spettacolo. Col Kers, il Drs e gli pneumatici di marzapane, a turno le monoposto si sorpassano come fossero station-wagon contrapposte a Tir in corsia lenta. Le sfide vere sono tutt’altra cosa. Se ne vedono poche, pochissime in questa F.1. Peccato”.
– Mario Donnini giudice di gara arbitrerebbe all’italiana o un po’ più all’inglese?
“All’inglese tutta la vita. Gioco maschio e pedalare. Non è possibile quest’atteggiamento dei commissari da periti assicurativi, che a ogni nolder piegato azionano la moviola al millisecondo per rovinare la corsa a quei pochi piloti che non hanno il braccino e osano qualcosa. Con questo penso che con i recidivi della scorrettezza quali Grosjean e Maldonado sarei intervenuto eccome, ma in tantissimi altri casi proprio no. Per esempio, il penalty di Schumi in Spagna è stato vergognoso, gli ha sterilizzato la successiva pole di Montecarlo bloccando la sua unica chance di vittoria in tre anni, di fatto rovinandogli la sua seconda carriera. Una vergogna. E potrei andare avanti, ma citare questo episodio basta e avanza”.
– Il team principal della McLaren, Martin Whitmarsh, ha dichiarato che la Formula 1 attuale è la più difficile di sempre. Per talento dei piloti e per grandezza delle squadre. Diritto di replica, vai.
“Con le responsabilità che Whitmarsh ha dopo Ron Dennis, per lui senza dubbio sì. Però, se Whitmarsh guarda indietro, alla storia della squadra che rappresenta, scopre che nell’era aurea del Rischio colui che ha dato il nome al marchio McLaren è morto provando una Can-Am e che i primi titoli Fittipaldi e Hunt li hanno portati a casa in stagioni che sembrano le sceneggiature di film, tanto che tra pochi mesi vedremo “Rush” di Ron Howard, tutto incentrato nella lotta strappacuore Lauda-Hunt del 1976. Vorrei ci fosse più rispetto nei confronti della generazione di piloti che la pelle l’ha rischiata davvero. Arrivavano al circuito e pensavano: “Questo, comunque vada, potrebbe essere uno stupendo weekend per morire”. Mentre adesso pensano al prossimo bonifico che riceveranno estero su estero e la competizione più tirata cui danno vita è incentrata su chi chiama per primo via radio Charlie Whiting in caso di pioggia, per fare entrare subito la safety car. Per il resto penso che in ciascuna epoca il tema tecnico e agonistico venga sviluppato al massimo e nelle forme consentite. Quindi stimo anche i campioni d’oggi, ma quando si confrontano col passato gli sussurrerei un simpatico “fly, down, baby”.
– Sei un grande esperto di piloti con il “cuore da corsa”, ovvero piloti carismatici, caratteristici di un’intera epoca, personaggi veri. Spesso perdenti ma a testa alta. Ecco, sinceramente, dei piloti di oggi chi secondo te ha il carisma giusto per anelarsi nel mito e farsi ricordare dagli appassionati anche tra cinquant’anni?
“Guarda, non è che 40 anni fa ci fossero dei semidei e ora degli idioti. E’ cambiato il sistema. Anche sul piano dialettico. Fino all’inizio deglianni 70 le interviste erano rare perché quasi nessuno dei giornalisti le chiedeva ai piloti. E i primi dieci-quindici anni in cui questo è poi iniziato a succedere i confronti dialettici erano piuttosto aperti e sinceri, spesso affascinanti. Quando – direi da Prost e Senna in poi -, la F.1 ha vissuto un salto di qualità e i campioni sono diventati tutti dei comunicatori di corporations a livello planetario – i primi sono stati Stewart e Lauda – tutto s’è anestetizzato, annaffiato, smorzato e banalizzato. Dopo Prost e Senna, con le loro epiche battaglie in pista e ai microfoni, la comunicazione in F.1 è diventata una sorta di immenso congresso democristiano nel quale tutti parlano a voce bassa e per simboli astrusi, badando a friggere l’aria e basta, a parte qualche piacevole eccezione fuori dal coro, come Jacques Villeneuve. Tra quelli che forse un giorno ricorderemo, metto Raikkonen, ma non certo per l’eloquio. Alcontrario, lo vedo in zona leggenda per quel suo saper essere – oltre che velocissimo -, involontariamente surreale, comico e lapidario. Come quando in Canada anni fa a Hamilton che l’aveva appena tamponato al restart della pit-lane, insegnò il semaforo rosso e poi se ne andò tranquillo per cavoli suoi, come un rappresentante di Gallarate”.
– Come vuoi terminare?
“Con due auspici molto diversi tra loro. Il primo. Che la Formula 1 smetta di restare la fogna di miliardi in cui s’è tramutata (la definizione appartiene a Enzo Ferrari). E non perché è immorale tutto ciò in tempi di crisi mondiale globale. Era immorale anche prima del 2008. Non è mai accaduto che ci fosse una vetrina planetaria nella quale l’ostentazione del lusso fine a se stesso, del danaro più esibito che investito, toccasse livelli di cattivo gusto così stridente. I retrobox faranoici, i paddock club a 3000 euro a weekend, le inferriate blindate a cacciare i tifosi veri, le tribune e le zone prato a costi stellari sono forme striscianti di razzismo economico e di violenza sulla passione pura che spero siano sempre più criticate e sgretolate da un minimo di senso dell’estetica, se non da quello della morale. Era dai tempi dell’ecclesia triumphans del Rinascimento che non si assisteva mediaticamente a ostentazioni così plateali discutibili. Ecco, se non si capisce che non è il caso, prima o poi arriverà un Martin Lutero laico e corsaiolo a fare la riforma e saranno dolori veri. Se così fosse, non me ne sorprenderei. Infine, auspicio numero due, vorrei una Ferrari che tacesse di meno sulla latitanza dei piloti italiani dalla F.1. Non per criticarla, certo no, ma per stimolarla in modo dialetticamente costruttivo a fare, nel suo piccolo e nel suo grande, qualcosa e di più anche su questo versante. Mezzo secolo fa noi italiani, grazie a Varzi, Nuvolari, Farina e Ascari eravamo il Brasile delle corse, ora sembriamo il Burkina Faso. Su questo versante, spero in un 2013 in controtendenza e, comunque vada, buon anno a tutti”.