Jean “Gianburrasca” Alesi dice addio al Motorsport
Un po’ eroe romantico, un po’ Paperino, ma certamente un grande cuore da corsa, senza dimenticare – volente o nolente – che manico sia stato. Giovanni Alesi, meglio conosciuto come Jean Alesi, ha detto basta con il Motorsport. Un rapporto burrascoso quello tra Jean ed i motori da competizione, altalenante, che lo ha visto passare dalle imprese pazzesche alle sfighe inenarrabili che, spesso, gli hanno tolto la gioia di molti successi ed un posto nell’olimpo dei Grandi del Circus iridato.
Nato l’11 giugno 1964 da un meccanico originario di Alcamo, in Sicilia, poi trasferitosi in terra francese, Jean si avvicinò sin da piccolo al mondo delle competizioni a quattro ruote, essendo appassionato di rally. A 16 anni cominciò a gareggiare con i kart e nel 1984 debuttò nel campionato di Formula Renault francese, dove rimase per due anni. Passato nel 1986 alla Formula 3, riuscì a terminare primo in classifica piloti nel 1987, guidando le vetture del team Oreca. L’anno seguente il francese, pilotando sempre per la stessa scuderia, fece il salto in Formula 3000. Nella prima annata concluse il campionato al decimo posto, giungendo due volte a podio; quindi per il 1989 Alesi si accordò con il team Jordan, con cui riuscì a vincere il titolo di categoria davanti al connazionale Erik Comas.
E fu sempre nel 1989 che arrivò il tanto sospirato esordio in F1 e non certo con una scuderia qualsiasi. Jean debuttò in Tyrrell, in sostituzione di Michele Alboreto. Una squadra dal grandissimo blasone, ma non più competitiva come ai tempi del duo meraviglia Stewart-Cevert. Al primo GP disputato strappò subito un entusiasmante, quanto promettente, quarto posto. Tyrrell gli prolungò il contratto e con quel piazzamento Alesi diede veramente il via alla sua lunga e altalenante epopea in F1.
Grazie all’incredibile secondo posto del 1990 colto a Phoenix, in Arizona, contro quel mostro sacro di sua maestà Ayrton Senna, Jean venne chiamato dalla Ferrari nel ’91, dopo aver stracciato un contratto praticamente già firmato con la Williams. Con il senno di poi, la scelta può essere definita sportivamente “suicida”. Ma come dire di no alla chiamata della Rossa? No, infatti. Non si poteva.
Dal ’91 al 95′ Jean raccolse tanto affetto dai tifosi Ferrari almeno quanto lui riuscì a conquistarli con ciò che dava al volante: tutto. Anche oltre, probabilmente. Tante rotture, qualche exploit mica da ridere, seppur con vetture non degne di esser fregiate dal Cavallino Rampante sul muso. E poi, la grande vittoria. L’unica in carriera, ottenuta a Montreal – Canada – proprio dove vinse il suo primo Grand Prix Gilles Villeneuve. Nessun paragone tra i due, sia chiaro, ma la sorte sportiva sembra accomunarli anche nei luoghi percorsi dai due indimenticabili della Rossa.
Terminato in modo a dir poco burrascoso il sodalizio tra la Ferrari ed il francese, Jean si accasò assieme all’amico Berger alla Benetton Renault di Flavio Briatore, reduce da ben due titoli Piloti vinti consecutivamente grazie all’astro nascente Michael Schumacher. Anche lì, però, la sorte non lo aiutò: tante vittorie sfumate, accompagnate anche da tante piccole imprese personali, come il secondo posto di Monza ’97 dopo esser partito dalla Pole, per essere poi beffato dalla McLaren di David Coulthard al pit-stop.
Finito il biennio Benetton, ecco la possibilità offertagli da Peter Sauber, ripagato con un buon numero di piazzamenti a punti e l’incredibile terzo posto di Spa-Francorchamps del 1998, colto sotto un diluvio pazzesco. L’avventura in F1 di Jean terminò con la parentesi (buona) alla Jordan, giunta dopo un biennio da dimenticare al volante della disastrosa Prost dell’amico Alain, quattro volte Campione del Mondo. Poi, la F1, è rimasto solo un ricordo agrodolce.
Dopo l’addio al Circus, ecco l’opzione DTM con Mercedes. Jean colse qualche buon successo, ed è certamente ricordato come uno degli ex piloti di F1 più competitivi nella storia della categoria. Poi qualche apparizione nei campionati endurance FIA a ruote coperte, prima dell’ultima, fallimentare, coraggiosa, passionale, pericolosa avventura alla 500 Miglia di Indianapolis a bordo di una Lotus tutt’altro che fulmine di guerra. La direzione gara lo ha fermato dopo pochi giri, 10 per la precisione, perché ritenuto un potenziale pericolo causa lentezza della vettura.
Già, della vettura. Perché Jean era certamente ancora pilota nell’anima e non si sarebbe mai buttato in un’operazione così difficile se fossero mancati stimoli e competitività nella persona. Oggi, forse, Jean ha capito che di posto nel Motorsport per uno come lui non ce n’è più. Tutto troppo finto per uno che, per tutto l’arco della carriera, ha avuto certamente un grande pregio: essere se stesso.
Ora, il buon Jean avrà tempo da dedicare alla compagna Kumiko, ai figli, alle sue attività extramotoristiche ma, statene certi, rimarrà sempre quell’eroe romantico che importunò re Ayrton a Phoenix, Paperino che ruppe tanti semiasse e cuscinetti ai pit stop quando era in testa e quel cuore da corsa che, attraverso il suo stile di guida, ha fatto innamorare tanti appassionati di F1, ferraristi e non.
Buona seconda vita, Gianburrasca.