Adrian Newey nella hall of fame degli innovatori?
Il “muso di gomma” della RB8 ha ancora una volta portato alla ribalta l’indiscusso genio di Adrian Newey.
Il tecnico inglese può, senza dubbio, considerarsi una della icone tecniche della storia del mondiale di F1, al punto da poter scrivere il suo nome nella hall of fame dei progettisti che hanno innovato per sempre la massima categoria motoristica.
In questa particolare classifica può certamente trovarsi al primo posto il nome di Colin Chapman. L’indimenticato fondatore della Lotus ha introdotto per primo, nel 1962, il telaio monoscocca, facendo diventare di colpo obsoleti i telai tubolari della concorrenza. La soluzione sperimentata sulla Lotus Climax 25 consentiva di adottare una vasca in alluminio per il telaio, all’interno della quale il pilota guidava sdraiato. Ad essa venivano poi collegate le varie componenti meccaniche della vettura garantendo alla monoposto una rigidità torsionale sino ad allora sconosciuta.
Altre due soluzioni che hanno caratterizzato l’evoluzione tecnica delle monoposto in Formula 1 portano la firma di Champman. La prima ha riguardato l’adozione delle pance laterali contenenti i radiatori, sperimentata sulla Lotus 72. Nonostante ciò, questa soluzione può definirsi del tutto inedita, poichè nel 1954 la Lancia D50 adottava dei serbatoi benzina laterali. Tuttavia, l’aver installato il pacco radiante ai lati della scocca ha rivoluzionato per sempre il modo di concepire una monoposto di Formula 1. La naturale evoluzione di questa innovazione fu partorita da Chapman nel 1977 con il modello Lotus 78. Il patron della Lotus capì che poteva sfruttare al meglio l’aria che passava al di sotto delle pance per tenere incollata al terreno la monoposto, senza utilizzare angoli alari eccessivi che avrebbero certamente penalizzato le velocità di punta. Grazie ad un profilo ad ala rovesciata, posto all’interno delle pance, e all’adozione di minigonne laterali che garantivano un vero e proprio sigillo della vettura al terreno, la monoposto nero – oro inglese inaugurò la stagione delle wing car.
Proprio la parola wing, ovvero ala, fu un concetto sviluppato da Mauro Forghieri ed adottato dalla Ferrari prima di tutti nel 1968. La monoposto siglata 312/68, venne munita infatti di un alettone dotato di un profilo posto a sbalzo sul motore della vettura ed ancorato alla stessa tramite due sostegni metallici. La soluzione, che prendeva spunto da quanto già visto sulla Chapparal in alcune gare statunitensi, avrebbe segnato in modo indelebile il design di tutte le monoposto sino ai giorni nostri.
Un ulteriore passo avanti per l’ingegneria motoristica si ebbe nel 1981 grazie alla McLaren. John Barnard, all’epoca progettista delle monoposto inglesi, spinse la proprie capacità oltre il limite, andando ad applicare la scienza aeronautica alla Formula 1. La sua creatura, ovvero la MP4/1, fu infatti la prima monoposto ad adottare un telaio interamente in fibra di carbonio. La vettura riuscì a collezionare una sola vittoria nel Gp di Gran Bretagna ma, così come per la Lotus 25, segnò una svolta radicale nel modo di concepire e progettare una vettura da gara.
Altro importante step evolutivo si ebbe nel 1989, sempre ad opera di John Barnard. In quella stagione, il tecnico inglese era alle dipendenze della Ferrari ed innovò profondamente il mondo della Formula 1 grazie all’adozione del primo cambio semiautomatico a sette marce sulla 640 F1. L’abolizione della leva del cambio e l’introduzione dei paddle al volante, oltre a garantire una rapidità di cambiata sino ad allora sconosciuta, concedevano un maggiore confort di guida ai piloti, specie in circuiti come Montecarlo dove, per il gran numero di cambiate, i driver finivano la gara con le piaghe nelle mani. Anche in questo caso è doveroso ricordare come la stessa Ferrari, già nel 1979, aveva sperimentato con Villeneuve un cambio semiautomatico al volante, senza tuttavia ottenere dal pilota un feedback positivo.
Merita di essere ricordato come innovatore anche Harvey Postlethwaite con la Tyrrel 019. La vettura fu, infatti, la prima monoposto ad adottare il muso alto. Il tecnico inglese intuì i vantaggi aerodinamici che potevano derivare da un maggiore passaggio d’aria sotto la scocca ed il fondo vettura, dotando così la vettura di un muso rialzato con due piloni di sostegno dell’ala obliqui che si integravano al medesimo profilo aerodinamico. Anche in questo caso, il disegno inventato da Postlethwaite influenzò la moderna F1 e i risultati sono ancora visibili sulle monoposto odierne.
Anche Adrian Newey ha firmato delle innovazioni che trovano, ancora oggi, particolare attenzione nello sviluppo delle monoposto. Nel 1996 la Federazione impose alle scuderie l’adozione di protezioni laterali per la testa del pilota. Tutte le scuderie adottarono soluzioni voluminose ed alte che compromisero il coefficiente di penetrazione aerodinamica, mentre sia la Williams FW 18 che la Jordan adottarono una soluzione controcorrente, ovvero il posizionamento del roll bar al contrario. Grazie a questo accorgimento, Newey potè disegnare delle protezioni laterali molto basse che non influenzarono in negativo il coefficiente aerodinamico della vettura, e tutti i competitors furono costretti ad adeguarsi nella progettazione delle monoposto per la stagione successiva.
Merita Adrian Newey di essere annoverato tra i più grandi progettisti della storia del Mondiale di F1? Ad opinione di chi scrive, certamente si. Non avrà forse rivoluzionato il design delle monoposto in maniera drastica così come il suo connazionale Colin Chapman, ma la sua continua ricerca della perfezione e lo scovare soluzioni geniali in un epoca di ristrettezze regolamentari, lo pongono certamente al vertice in questa particolare hall of fame.