Hamilton e i trofei: un capriccio che significa tanto…
Il matrimonio tra Lewis Hamilton e la McLaren è anche questione di trofei; non nel senso di possibili vittorie ma di coppe in senso materiale. Quelle che Hamilton vuole portarsi a casa dopo ogni splendida impresa, insieme al suo casco di gara:
“Per un pilota sono due le cose che non hanno prezzo: le coppe e i caschi. Ron Dennis e il team hanno l’abitudine di tenersi in sede gli originali dei trofei, dando a noi piloti solo delle repliche. Negli altri team i piloti possono tenersi le coppe vinte.
A me non interessa se mi regalano un’automobile o qualcos’altro. Io voglio i trofei che ho vinto con il sangue e con il sudore. Per me questo è un punto chiave nella discussione sul nuovo contratto”.
Così un Lewis che appare ormai assoluto padrone di se stesso, finalmente capace di camminare con le proprie gambe e ragionale con la sua sola testa. L’anglocaraibico in questi mesi è notevolmente maturato, sotto tutti i punti di vista.
Nella gestione della gara, certo, ma anche in una sorta di svezzamento e di esigenza di indipendenza da “mamma McLaren”. Per tutti i figli arriva prima o poi il momento di aprire la porta di casa e prendere la propria strada.
Per questo anche un capriccio, che a prima vista può sembrare sciocco e banale, nasconde in realtà un malessere più profondo. Un’insofferenza verso quella squadra del cuore che è croce e delizia, che potrebbe iniziare ad andare stretta qualora il ragazzo avesse deciso di confrontarsi con altre realtà, di respirare aria nuova per misurare il suo valore assoluto.
Qualcuno parlerà di irriconoscenza verso il team che l’ha cresciuto, qualcun altro magari aspetta solo la notizia un rinnovo che resta probabile. Il futuro però non è tanto scontato: “So che è una decisione difficile, perchè probabilmente si tratterà del contratto più importante della mia carriera. Devo decidere con calma”.
Non è un caso quindi che Hamilton voglia portare le tante coppe vinte con la Macca nel salotto di casa. Magari per guardarle e esclamare: “Ehi le ho vinte io, non me le hanno fatte vincere loro!”. Non bisogna scomodare la dialettica hegeliana per capire che quello di Lewis è un processo di presa di autocoscienza di rara forza.
Anche per questo chi lo prende fa un affare: Hamilton non è più uno sbarbatello dotato di un piede magico e di una testa sbarazzina. Passata la “tempesta personale” del 2011 il nuovo Lewis è un arcobaleno di talento e carisma, un pilota forse per la prima volta in carriera davvero consapevole dei propri, notevoli, mezzi.