Silverstone ’99, il crash di Schumacher e l’ascesa di Irvine
Un lampo rosso avvolto da una nuvola di polvere. Questa è l’immagine impressa nella mente di tutti i tifosi, ferraristi e non, quando si torna indietro con la memoria e si ripensa alla gara di Silverstone ’99. Quel gran premio, infatti, verrà sempre associato al terribile incidente occorso a Michael Schumacher alla curva Stowe.
In quella che doveva essere una stagione di rivincita, dopo le delusioni finali del 1997 e del 1998, la Ferrari puntava con decisione sul tedesco per tornare a fregiarsi del titolo piloti. E Schumacher non stava affatto sfigurando nei confronti di Mika Hakkinen, nonostante le prestazioni della F399 non fossero certamente paragonabili al gioiello tecnologico di Woking.
La voglia di rivincita per Schumacher era ai massimi livelli, dato che nel precedente Gran Premio del Canada il tedesco aveva interrotto la sua gara andando a sbattere contro il “muro dei campioni”.
Alla partenza della gara, Hakkinen scattò come un fulmine mentre Michael non ebbe la stessa prontezza di riflessi e fu sopravanzato si da Irvine che da Coulthard. Nello schieramento rimasero fermi sia Villeneuve che Zanardi e la direzione gara decise di esporre la bandiera rossa per poter rimuovere le vetture bloccate in pista.
Fu un attimo. Schumacher non ricevette la comunicazione dai box e, tirando come un pazzo, cercò di recuperare immediatamente la posizione su Irvine. Alla curva Stowe avvenne l’attacco, ma qualcosa non funzionò. La rossa numero 3 passò all’interno di Irvine ad una velocità doppia, schiantandosi contro il muretto in cemento protetto da due file di pneumatici. La scocca della F399 si incagliò sotto gli stessi e Schumacher provò ad uscire dalla vettura in preda ad una furia omicida. Non ci riuscì.
In una intervista rilasciata alla tv tedesca ZDF il campione tedesco descrisse così quegli attimi: “Credevo di morire. Ho sentito il cuore che si fermava. Sudavo, ho sentito che i battiti cardiaci diminuivano, il mio cuore improvvisamente si è fermato e tutto è diventato nero. Non so esattamente quanto tempo è durato lo stato di incoscienza e da cosa fosse causato, ma è quello che ho sentito“.
Il risultato di quello schianto, per fortuna, non fu così grave come si temeva man mano che la nube di polvere svaniva. Schumacher riportò “solo” la frattura di tibia e perone della gamba destra e la sua stagione era ormai compromessa.
Come sempre accade in Formula 1, il romanzo giallo non era ancora giunto al capitolo finale. Michael fu trasportato in elicottero al vicino ospedale con al seguito il fido Jean Todt e la gara riprese. Hakkinen si trovava ancora al comando, ma il colpo di scena era in agguato.
Nel corso del 29º passaggio la ruota posteriore sinistra della sua vettura si staccò improvvisamente. Il finlandese riescì a tornare ai box, ma dopo aver effettuato qualche tornata di prova si fermò definitivamente.
I contendenti per quella vittoria furono Coulthard e, inaspettatamente, Irvine. L’irlandese della Ferrari, noto più per la vita mondana che per le prestazioni in pista, sentì improvvisamente il peso di essere diventato la prima guida rossa, ma tale pressione non lo intimorì e lo spinse a duellare con lo scozzese della McLaren.
Irvine non riuscì a conquistare quel gran premio, piazzandosi al secondo posto, ma inaspettatamente lottò per il mondiale sino alla gara conclusiva di Suzuka che, anche in quell’anno, non consegnerà alla Ferrari il mondiale piloti.
Schumacher riapparve brevemente in un video messagio prima del gran premio di Germania per un saluto veloce ai suoi tifosi. Provò successivamente in un test a Monza ad anticipare il rientro, ma i dolori insopportabili lo costrinsero ad alzare bandiera bianca annunciando al mondo intero la sua delusione in una conferenza stampa che passò alla storia per la sua commozione.
Ritornò in Malesia, penultimo appuntamento stagionale, e guidò la sua Ferrari come se mai il rapporto tra l’uomo e la vettura si fosse interrotto.
La frattura alla gamba era ormai sanata, e quel terribile giorno di Silverstone diventò lo spartiacque prima dell’inizio dell’epoca d’oro dei cinque titoli mondiali consecutivi che lo consegnarono alla storia.