Gilles Villeneuve: profeta della F1 oltre ogni limite
Gilles Villeneuve se n’è andato lasciando una ferita aperta nel cuore di milioni di tifosi, innamorati delle gesta agonistiche del piccolo aviatore canadese. L’uomo che sorpassava in punti impossibili, il pilota che guidava su tre ruote pur di non gettare la spugna.
Gilles minuto, silenzioso, schivo, padre di famiglia dolce e affettuoso fuori dall’abitacolo. Un ragazzo d’oro che faceva quasi tenerezza per la semplicità e la purezza degli intenti, capace però di trasformarsi al volante, diventando un cacciatore spietato, un funambolo da circo che a distanza di anni scalda ancora i cuori di tanti appassionati.
Ventisette rosso è un marchio, perchè Villeneuve è stato unico nel suo genere. Diversissimo per pilotaggio, talento, modo di interpretare la sfida, da tutti gli altri campioni di questa disciplina. Lui che lottava come un ossesso curva dopo curva, che incantava per qualità di guida e generosità di spirito. Talento e velocità, ma anche un altruismo verso i colleghi insolito in un mondo dove il primo avversario è il compagno di squadra.
Villeneuve nel 1979 aiutò Jody Scheckter a vincere un mondiale, senza mettergli i bastoni tra le ruote, perchè gli era amico. E da un altro grande amico fu pugnalato alle spalle, quel Didier Pironi – buon pilota- che a Imola 1982 si inventò però il sorpasso più vigliacco della storia della F1. Una storia, quella di Gilles, che è poesia pura che merita di essere narrata e ricordata. Quasi insegnata a chi non ha potuto vedere dal vivo le imprese del pilota canadese.
Schopenhauer, filosofo romantico dell’800, diceva: “Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri”. In questa frase può racchiudersi quello che era Villeneuve al volante, la sua differenza abissale con il resto dei fenomeni che pure l’hanno preceduto e seguito. Anche i più grandi della storia come Schumacher, Prost, Senna non hanno avvicinato la leggenda tutta italocanadese del ventisette rosso. Il ragazzo che ha fatto commuovere Enzo Ferrari. Il pilota al quale il Drake voleva bene come un figlio.
Lo stesso Senna, per leggenda e mito pari – se non superiore – a Gilles, era diverso dal canadese. Ayrton nonostante avesse un carattere genuino, generoso, mistico era un pilota dei tempi moderni; schierato, “politicizzato”, pieno di onori ma di altrettanti oneri. Senna affrontava ogni curva come fosse una magia, ogni giro di pista era un capolavoro. Rasentava la perfezione di guida. Gilles era puro istinto, ogni curva poteva essere l’ultima, il rischio non era una variabile ma una costante, ogni giro di pista era uno schizzo di follia mista a coraggio.
Senna era Michelangelo Buonarroti, Donnington ’93 è paragonabile agli affreschi della Cappella Sistina. Da sindrome di Stendhal. Villeneuve era a confronto un rivoluzionario francese pieno di ideali, Digione ’79 è il suo personale attacco alla Bastiglia. E’ la vittoria di un ideale. Quello del dare gas a ogni costo, del coraggio che sfocia in temerarietà. Del gesto che fa impazzire la folla.
Gilles ha un significato per la F1 che va al di là delle sei vittorie e delle emozioni in Ferrari. E’ un significato che tocca l’essenza più profonda dell’automobilismo. Un piccolo uomo venuto dal Canada dimostrò che il limite, come noi essere umani lo concepiamo, può essere sempre superato. Semplicemente non esiste. Gilles piegava una macchina di 700 e passa Cv al suo volere, così come Neo di Matrix piega senza problemi il cucchiaio nella nota trilogia. Perchè la pista era il codice decifrato da Villeneuve grazie a un cuore e a un talento immensi.
Per questo Villeneuve, nella sua leggenda, è semplicemente unico. Lui è stato il “profeta” della F1, il pilota che ha scoperchiato tutte le potenzialità ma allo stesso tempo i limiti dell’uomo alla guida di una vettura da corsa. Che ha detto agli altri: “si può guidare così, ma non vi conviene”. Ha incantato, ha emozionato, ha fatto piangere una nazione intera e non solo.
Villeneuve è John Lennon, è Kennedy, è Napoleone, è Cesare. E’ l’idealismo che si fa uomo. Uno dei personaggi che, sebbene si tratti “solo” di sport, a modo suo ha cambiato le cose, ha fatto Storia, ci ha lasciato qualcosa.
Uno così non nascerà mai più e forse non “deve” nascere più visto il prezzo pagato. Cavaliere del rischio per eccellenza, corridore con un alone di malinconia e poesia che lo circondava in ogni attimo. Poeta maledetto della F1, semplicemente il “piccolo aviatore”. Il pilota che ha portato all’anelito l’essenza delle corse, in una dimensione che trascende spazio e tempo. Immane, eterna, metafisica. Salut, Gilles.