Formula 1, il circus dei maschilisti
Motori spenti, mercato piloti giunto ormai all’apice. Mancano solo un paio di tasselli per completare lo schieramento di partenza del 2012, più qualche altra piccola sorpresina. Tra queste, potrebbe esserci l’annuncio della Lotus della promozione di Maria De Villota come pilota di riserva.
Basta solo il pensiero per scatenare battutine e sorrisini, anche tra gli addetti ai lavori. Tra gli stessi piloti, poi, c’è chi una donna nel box come team mate non la vorrebbe proprio. Famosa la gaffe di Nico Rosberg: “Donne in F1? Impossibile, non sono abbastanza brave. Cioè, volevo dire che non hanno la forza fisica per sopportare gli sforzi di un GP”. Eddie Irvine era tra quello che ci andava giù pesante: “Le donne non sono tagliate per la F1 perché non hanno il make up giusto per il cervello”. Anche Button, intervistato sull’argomento affermò: “E chi la vorrebbe una donna al box quella volta al mese? Inoltre, una ragazza col seno grosso distrarrebbe i meccanici dal lavoro”.
Ma veramente la Formula 1 è un mondo maschilista? “Ni”. Perché è facile pensare che non ci sia spazio per le donne, ma in realtà è una condizione che sussiste ancora solo quando parliamo di donne pilota. Tralasciando le pit-babes, ossia le donnine appena vestite con i loghi degli sponsor, il motorsport può contare su donne che portano i pantaloni. Dai reparti marketing delle squadre, passando per addette stampa, fino ad arrivare nei retrobox con ingegneri, aerodinamici, tecnici e commissari di gara. Una piccola apertura in un mondo che, fino a qualche anno fa, era roba esclusiva per i maschietti.
Anche zio Bernie, che fino a qualche anno fa era restio a trattare affari con le donne, ha oggi tra i suoi più stretti consiglieri Sacha Woodward Hill. Prima di lei c’era Judith Griggs, oggi CEO del GP a Melbourne e nominata anche imprenditrice australiana dell’anno. “Le donne hanno sempre avuto una forte influenza, sono state però messe da parte per troppo tempo”, ha ammesso Ecclestone in una recente intervista.
Ogni squadra, inoltre, può contare su decine di donne che sono fondamentali per la buona riuscita del proprio lavoro. Basti pensare alla nomina di Monisha Kaltenborn a team principal della Sauber, prima donna al mondo a poter vantare un ruolo del genere in una squadra di F1. Indiana di nascita, ma di nazionalità austriaca, è oggi residente in svizzera. La Kaltenborn è l’esempio da seguire per molte donne nel circus: “La gente mi chiede spesso se la F1 era un mio sogno. In realtà, volevo fare l’astronauta”, ammette ridendo. Il suo ruolo non finisce al muretto, ma spesso continua lontano dalle telecamere: cura i rinnovi contrattuali con i piloti, i rapporti con i fornitori, i contatti con la FIA, la FOM e la FOTA. Monisha è certa: “Dovrebbero esserci più donne in Formula 1. A volte abbiamo una visione delle cose totalmente diversa, sappiamo come risolvere meglio i problemi. Ovviamente, non bisogna generalizzare, ma credo che siamo più pragmatiche e disposte a trovare un compromesso a tutto”. Riguardo alla possibilità di rivedere una donna in pista, afferma: “Non vedo alcun motivo per cui una donna non possa essere competitiva come un uomo. Negli Stati Uniti ci sono piloti dal calibro di Danica Patrick e Simona De Silvestro. Non c’è ragione fisica o mentale per cui le donne non possano aver successo. E’ vero, però, che ci vorrà del tempo per superare i pregiudizi che esistono”.
E’ vero, in passato le donne pilota hanno un po’ deluso le aspettative: Maria Teresa De Filippis, Lella Lombardi, Giovanna Amati. Ma hanno comunque avuto la loro opportunità, perché non darla anche ad altre in futuro? I risultati scadenti di alcune non possono essere un metro di giudizio insindacabile per tutte le altre. Pensateci, quanti piloti arrivano in F1 e si rivelano medioci? La lista è lunga.
La cosa positiva è che il Circus non è fatto di soli piloti. Una bella occasione per quelle donne con le palle di mettersi in mostra e mettere a tacere i colleghi più scettici. In fondo, il caso di Monisha Kaltenborn non è l’unico.
Lo dimostrano le sorelle Leena e Teena Gade. Entrambe lavorano come ingegneri di pista. I loro genitori hanno da sempre assecondato la loro passione comune per i motori, nonostante questo mondo risultasse spesso ostile nei loro confronti. Leena ammette: “Quando avevo 17 anni e provavo a lavorare per un team di F3, mi è stato detto che fare il meccanico non è roba da ragazze. Ma io ho pensato oslo a lavorare e dimostrare a tutti che si sbagliavano”. La sorella Teena le fa eco: “Quando dicevo di voler fare ingegneria, la gente mi guardava incredula e non si spiegava il perché di questa mia scelta. E ogni volta che qualcuno diceva che il mio era solo un sogno, io ero sempre più motivata per smentirli”.
Una storia simile per Marianne Hinson, oggi capo aerodinamico della Caterham. Inizialmente laureatasi in astrofisica, la passione per la F1 l’ha portata a seguire un master realizzato in collaborazione con la British American Racing. Il suo primo lavoro nel Circus è stato con la Jordan come Junior Aerodynamicist, dove ha lavorato con John Iley prima e Mike Gascoyne successivamente.
Potremmo andare avanti per ore. Le donne iniziano a farsi spazio anche alla FIA: a Monza, abbiamo incontrato Silvia Bellot, prima donna steward della storia. La bella venticinquene catalana è sempre stata affascinata dal mondo dei motori, influenzata dal padre, commissario nei rally spagnoli. La Bellot ha raccontato: “Mio padre mi portò con lui a vedere una corsa quando avevo tredici anni. Passare il mio tempo con i commissari mi ha letteralmente aperto gli occhi, ha cambiato la visione delle corse. Ascoltare e osservare i piloti dal punto di vista dei regolamenti, è stat ointeressante. Nella stanza degli steward si sentono discussioni anche forti, che fuori neanche immaginate”. Spinta dalla passione, Silvia ha fatto una lunga gavetta come commissario sportivo, fino ad arrivare alla F1 per il GP di Spagna 2009: “Lì sono stata una Steward tirocinante. E’ stato emozionante avere tutti i piloti lì a firmare i documenti necessari. Era quello che avevo sempre sognato”.
Chissà quanti e quante di voi sognano di far carriera nel motorsport. Beh, ricordate allora le parole di Nietzsche che diceva: “Meglio essere pazzo per conto proprio, anziché savio secondo la volontà altrui”. Seguite i vostri sogni, dunque, perché è la volontà di realizzarli che farà la differenza.