Il motorsport piange ancora: addio, Marco
Motorsport is dangerous, dicono gli inglesi. Il danno è che ce ne ricordiamo tutti nel momento in cui qualcuno se ne va via, in quell’istante troppo breve anche per dire addio.
Motorsport is dangerous. Esattamente una domenica fa queste tre parole ci risuonavano in mente, proprio mentre scendevano le lacrime per aver assistito in diretta tv alla morte di Dan Wheldon dopo un terribile schianto in Indycar. Oggi, abbiamo ancor di più sofferto nell’assistere impotenti alla scena di quel casco bianco-rosso rotolare sull’asfalto di Sepang, per poi vedere Marco Simoncelli, a faccia in giù, strisciare sull’asfalto e rimanere esamine.
L’Italia piange uno dei suoi figli migliori. 24 anni appena, Marco Simoncelli era per tutti il Sic. Un talento innato, un ragazzo genuino e schietto, per questo spesso al centro di ormai inutili discussioni. Andava oltre il limite per generosità, mai per cattiveria, e oggi è forse più che necessario ribadirlo. Un cavaliere del rischio, un uomo squadra, un ragazzo d’oro. Si sprecano le parole di chi vuole rendergli degnamente onore.
Due destini, quelli di Wheldon e Simoncelli, divisi da appena una settimana. I loro sentimenti per le corse erano quelli di ogni pilota: si corre per vincere, non certo pensando che dietro l’angolo può succedere l’irreparabile. Abbassata la visiera, anche gli affetti più cari restano fuori. Gli stessi affetti che oggi faticano a parlare, protagonisti indiscussi del secondo tempo di un incubo. Adesso ci si stringe intorno a loro, ricordando chi non ce l’ha fatta.
Questa è la parte umana, ed anche la più bella, del motorsport: i piloti. Sono i cavalieri del rischio. Molti di loro scriveranno pagine della storia sportiva con vittorie e record, altri verranno disarcionati dai loro cavalli lungo la pista. Ma non per questo dimenticati.
Oggi è un’altra domenica nera per il motorsport. Tutti in piedi, ricordando Marco.