C’era una volta l’Italia
L’Italia, sin dalle prime corse di automobili, ha sempre recitato un ruolo da protagonista nelle corse, sfornando strepitose quantità di piloti, costruttori, idee, piste, personaggi di ogni genere. La tradizione corsaiola tricolore è motivo di vanto nazionale da sempre ed è uno di quei settori in cui il “made in Italy” è sinonimo di qualità e unicità, capace di riscuotere successi in ogni dove.
Ma, nonostante l’Italia abbia contribuito enormemente a dare i natali ad una Formula 1 d’altri tempi, il recente passato ha evidenziato un tristissimo periodo di decadenza, di buio pesto, cui fa seguito la parziale scomparsa di piloti italiani dalla massima serie. Certo, da un lato sembra un paradosso, visto che la Ferrari, simbolo indiscutibile di eccellenza italiana, continua a mietere successi strepitosi e a restare costantemente sulla cresta dell’onda. Ma “l’Italia da corsa“, la cui stella ha brillato soprattutto negli anni 80, ormai non esiste più. Purtroppo. Ci sono pagine “tricolori” in ogni era automobilistica. Nei primi anni di vita del Campionato, l’Italia dominava le scene con Alfa Romeo, Ferrari e Maserati, e i piloti italiani, Farina e Ascari su tutti, erano i migliori al mondo. Nei ’60, primi anni di dittatura inglese, sognavamo l’iride con Bandini e applaudivamo speranzosi Scarfiotti. Pochi ma buoni.
Con l’avvento delle prime sponsorizzazioni sul finire degli anni ’60, erano tanti i capitali italiani investiti in Formula 1. Tanti progetti ambiziosi: ISO, De Tommaso, ATS, la rivoluzionaria Tecno, Bellasi, e tanti giovani piloti di casa, come Brambilla, l’irriverente Merzario e lo sfortunato De Adamich. La Ferrari è regina della serie nel 75, 77 e 79. Negli anni 80, proprio quando comincia la lunga maledizione della Ferrari, torna alla ribalta l’Alfa Romeo con il grande Giacomelli (Jack O’ Malley, per gli inglesi). C’è moltissima Italia nella Brabham che vince nell’81 e 83. C’è l’Osella, seguita poi dalla storica e indimenticata Minardi, Benetton, Dallara, Fondmetal e Coloni.
L’Italia sfiora il titolo tutto tricolore con Alboreto, nel ’85. De Angelis è costantemente nelle posizioni di vertice ed ha la stoffa del campione. Patrese non è da meno. Sul finire degli anni 80 il gruppo di piloti italiani è il più numeroso. Alboreto, Nannini, Patrese, Capelli, Zanardi, De Cesaris fanno ben sperare per un futuro campione. E, mentre alla Ferrari continuano i guai, l’Italia da corsa porta in pista l’Eurobrun, l’Andrea Moda, la Life, la Lamborghini e poi la Forti. Nonostante la sfortuna di questi “esperimenti”, il più delle volte stravaganti, l’Italia c’è e continua ad inseguire quel sogno che mancava da oltre 40 anni. Il declino comincia dalla metà degli anni 90, guarda caso proprio quando la Ferrari risorge dalle ceneri fino al tanto agognato titolo mondiale che arriva nel 2000. Di team italiani ne rimangono due, Ferrari e Minardi. Di piloti se ne alternano un pò, ma solo due con discreti risultati: Fisichella e Trulli.
Da quando questo sport ha mosso i primi passi ne è passata di acqua sotto i ponti, ma la passione degli italiani non è mai diminuita. Le cause del declino vanno quindi individuate altrove, forse nel modo in cui sono gestite le formule minori, forse nella mancanza di sponsor. Qualcuno non manca di lanciare qualche frecciatina alla Ferrari, altri al sistema delle sponsorizzazioni gonfiate dei primi anni ’90 e del conseguente effetto boomerang.
I piloti non sono mai mancati; non basta una mano per tenere il conto delle occasioni mancate, delle promesse infrante. Chissà, è difficile trovare una causa certa. La Ferrari e la Scuderia Toro Rossono sono al momento le uniche italiane della Formula 1, l’unica Italia che conta. Ma un paese con una tale tradizione merità senza dubbio qualcosina in più…